Versate copioso il vino. E lasciate che le prime violette vi macerino. Prima di offrirlo ai vostri Lari. Sempre che abbiate dei Lari…. E che, nei campi, delle violette siano sopravvissute alle gelate di Febbraio… Comunque cercate di farlo. Altrimenti…
Altrimenti, per le vie dei vostri quartieri, o paesi, potreste sentire ululare. E non si tratterebbe di cani che salutano la Luna, bensì di presenze spettrali. E irate. Una processione livida e inquieta. Inquietante, soprattutto, di anime di defunti. Perché, questi, sono i giorni dei Morti…

Ma non è Novembre… sento già risuonare l’obiezione… Mi sa che questo articoletto viene pubblicato fuori stagione. E di molto…
Non. Non è Novembre. Ma sono comunque le Feste dei Morti. Perché il 13 di Febbraio sono iniziati i Larialia. I il 21 si chiudono con la ricorrenza dei Ferialia. Le feste romane dei defunti, appunto…
Già… Perché i Romani, quelli antichi, quelli veri., non l’attuale accozzaglia di genti senza storia né radici, di feste dei defunti ne avevano più d’una. Che segnavano un po’ tutto il corso dell’anno. Perché il rapporto tra vivi e morti era elemento fondamentale. Non solo religioso, ma anche comunitario. La Res Publica, con il suo ordinamento gentilizio, si fondava, appunto, sulla Tradizione. Ovvero sulla trasmissione attraverso le generazioni. E sulla relazione “religiosa” fra queste.
I Larialia di febbraio erano il culto dei defunti della famiglia. Degli antenati. Che si manifestavano come spiriti e presenze per lo più fruste e favorevoli. Girando per le vie della città e visitando i loro discendenti. Tuttavia i templi dovevano restare chiusi, molte attività sospese. Il culto era privato. Ed era il Pater Familias a rivestire il ruolo sacerdotale. Era, però, culto obbligatorio. Pena, appunto, le processioni di spettri ululanti di cui ci parlano Varrone e Ovidio …

Culto privato. Domestico. Che si chiudeva, però, con i Feralia. Che erano giorno di culto pubblico. La celebrazione dei Lari del Popolo Romano.
Perché il concetto di “popolo” era, in certo qual modo… concentrico. Si partiva dalla “famiglia”. E un insieme di famiglie, con un capostipite comune, formava la “Gens”. Il Populus altro non era che l’insieme di tutte le Gentes. Patrizie e plebee. Perché tutte, alla fin fine, erano riconducibili ad una stessa origine.
Sfoggio erudito? Solo in parte… e non la parte più importante. Queste “feste” legate ai defunti possono infatti farci riflettere. Su molti temi della vita. Mi limito ad un paio di spunti. Anche perché mi accorgo di essere stato fin troppo noioso…
La Storia non è un’astrazione. È un insieme di storie, di vicende, di usi di costumi che gli uomini si tramandano di padre in figlio. Da generazioni. Ovvero da secoli. In queste narrazioni, storie, miti, chiamateli come meglio v’aggrada, si fonda la nostra identità. Comune e individuale. Sono le radici. E se vengono recise o dimenticate, diventiamo degli atomi che precipitano nel vuoto, in una dimensione caotica. Ogni legame sociale, ogni affetto diventa effimero. Non ha fondamenta e non e in grado di fondare nulla. Esistiamo solo per noi stessi. E con il, conseguente, terrore della nostra morte corporale, per dirla con Francesco. Quello di Assisi, naturalmente. Quello vero…

Il culto dei Lari, dei Mani, dei Penati et cetera era tutt’altro che necrofilia. I necrofili siamo noi, che viviamo nel terrore di morire. Loro, i Romani, vedevano gli Spiriti degli antenati aggirarsi nella notte. Potevano essere benevoli. O assumere anche forme spaventose… Tuttavia erano presenze che dimostravano come tra vita e morte vi fosse un legame indissolubile. Una continuità. Non una frattura…
Bene. Ho parlato anche troppo. Ora vado a immergere petali di violette nel vino… Gli ululati nella notte non mi sono mai piaciuti…