Quest’anno di luminarie se ne vedono poche davvero… Palazzi che, in occasione dei Natali passati, risplendevano a giorno e scintillavano di un tripudio di luci, ora sono (quasi) completamente bui. Pochi persistono, caparbi, in questo uso… Come in quello di appendere ghirlande alle porte…
Insensibili. Irrispettosi – dirà qualcuno – non pensate ai morti per il COVID? Al dolore delle loro famiglie? Come potete pensare alle luminarie? A festeggiare il Natale?
Già, perché dimenticavo… Gli anni scorsi non moriva nessuno. Niente tumori, infarti, incidenti stradali… Tutti in perfetta salute. Tutti immortali… Banda di ipocriti, che giustificano le loro paure fingendo responsabilità e senso civico…
Bene. Io sono un incivile e un insensibile. E a me le luminarie di Natale piacciono. Molto. E mi fa tristezza il buio che avvolge la città.
Anche perché, queste, dovrebbero essere le Feste della Luce. Come sono sempre state. Sin da ben prima che un Papa – quale e in quale data resta incerto – ponesse in questo periodo il Natale cristiano, con tutte le ricorrenze correlate che lo precedono – San Nicola, Santa Lucia… – e lo seguono. In particolare l’Epifania. Un processo lento di sincretismo, che, nel tempo, ha portato a dimenticare le origini di tanti riti, usi, tradizioni… ma non la loro relazione con la Luce.
Certo, le luminarie sulle terrazze, sugli abeti, gli addobbi rilucenti dei negozi e delle vie sono cosa recente. Se vogliamo un portato del tanto demonizzato “consumismo “. Un’ americanata, dirà sprezzante qualcuno…
Tuttavia ogni epoca interpreta e declina a suo modo, spesso inconsciamente, simboli eterni. O per lo meno antichi quanto l’uomo. E certo ben più antichi di quella che chiamiamo Storia…
Se lasciamo che la nostra memoria scivoli, o meglio fluisca all’indietro, in una successione ininterrotta di immagini, troviamo il Natale vittoriano, quello di Dickens e di una certa oleografia fatta di villaggi innevati, stagni gelati con bambini che pattinano, gruppi di cantori di Carole natalizie. E abeti, illuminati da cento candeline ardenti.
È, più indietro ancora, troviamo l’uso del Ceppo di Natale. Uso di festa rustica, appartenente ad un mondo contadino, diffuso un po’ in tutta l’Europa centro-settentrionale. Dalla Scandinavia alla Penisola Iberica. Dalle Isole Britanniche all’arco delle Nostre Alpi. Dalle pianure germaniche alla dorsale balcanica…

Cambiava il tipo di albero che veniva tagliato. Abete, quercia, frassino… anche ginepro come in alcune valli tra i monti della nostra Lombardia. E cambiava il periodo in cui veniva prescelto, e si dava di piglio alla scure. La Vigilia, spesso. Ma talvolta molto prima. In certe contee inglesi addirittura alla Candelora, per lasciarlo poi essiccare sino all’inverno successivo.
Il rito, però, nella sostanza era sempre lo stesso. La sera della Vigilia, il capo famiglia lo accendeva, recitando preghiere e/o formule augurali. Talvolta lo aspergeva di vino. O di birra. Si intonavano canti. E il ceppo doveva ardere sino al 6 Gennaio, All’Epifania. Le ceneri venivano conservate. Potente amuleto.
L’usanza è attestata nelle cronache medioevali, sin dal XII secolo. Ma indiscutibile che sia ben più antica. Precristiana.
I fuochi che ardevano nei fiordi o sulle colline, invocando il Sole, nella Notte del Solstizio.
Il Fuoco Sacro che veniva acceso a Roma all’inizio dei Saturnali di Dicembre…
E persino nell’antica Babilonia vi era una tradizione consimile. Anzi, a ben vedere, esattamente uguale. L’albero di Nimrod, il Dio Sole. Che veniva mozzato e fatto ardere lentamente. Sino a consunzione. Per poi sostituirlo con un nuovo albero, riccamente addobbato…
E prima? Prima della storia scritta, intendo. Il “prima” delle narrazioni orali che si perdono in quella complessa nebulosa che abbiamo l’inveterato vizio di chiamare “preistoria”. Narrazioni, canti, reperti archeologici, frammenti di memoria…
Di cui resta, però, sempre l’immagine del fuoco acceso. Dei suoi riverberi di luce che salgono nel cielo notturno. E richiamano quelli del nuovo Sole…
Chissà, forse i primi fuochi, i primi ceppi furono accesi da remoti progenitori, cacciatori – raccoglitori del paleolitico che vi danzavano intorno, intonando canti. Uomini la cui vita era dura. E breve. Molto più breve della nostra. Non tanto per malattie – contro le quali dovevano avere ben poche difese – quanto per altre minacce. Ben più feroci e incombenti. Ad esempio, secondo quel genio irregolare di Bruce Chatwin, lo smilodonte, che sembra trovasse molto gustosi i nostri progenitori…
Eppure non rinunciavano ad accendere le Luci. Anzi….
Che ci volete fare? Insensibili, irresponsabili….