Una foto su fb. Una chiesetta di montagna, col tetto di tegole lignee a spiovente. Il piccolo campanile con la campana. I muri imbiancati a grezzo. Immersa nella neve. Una cappella come ve ne sono tante, sparse tra passi e valli, nell’arco alpino orientale. Eppure la riconosco subito. Una agnizione del cuore, prima che una memoria. È quella del Passo Falzarego, dietro le Tofane. Ai piedi del Lagazuoi. Il passo a duemila i rotti metri dove si sale da Cortina, per poi discendere, attraverso l’incanto della piccola Val Parola, verso Corvara e Col Fosco. Val Badia, dove ancora risuona la dolce melodia della lingua ladina…
Luogo di innumerevoli memorie. Di gite ed escursioni. Con mio padre. Poi con gli amici di sempre. Ricordo una salita in funivia al Lagazuoi, per poi discendere sino a Fiames, girando intorno alle Tofane. Attraverso tutta la Val Travenanzes, ancora incontaminata dall’uomo. Una lunga scarpinata, con Marco, ora lontano. E Bobo, e anche Teo mi sembra… Entrambi… andati oltre, come dicono gli alpini. Da molti anni, ormai…
Ma torniamo al Falzarego. Che, il lingua ladina, vuol dire “Il falso Re”. Il re spergiuro, che non mantiene la parola. E che, perciò, viene punito. Trasformato in una roccia. Che si può ancora vedere non molto lontano dalla chiesetta. Ed ha, quella roccia, proprio la forma, vaga, di un uomo seduto in trono. Con aria pensosa.
È una delle leggende delle Dolomiti. Chi scoprii per caso, trovando, tra la polvere di una piccola cartolibreria cadorina, i libro di Karl Felix Wolff. Era un giornalista e scrittore eccentrico Karl Felix. Ovvero Carlo Felice, visto che la madre era una nobildonna sudtirolese di lingua italiana, e che lui, pur nato in Croazia, visse e morì a Bolzano. Un ingegno curioso. Un etnografo autodidatta. Innamorato delle leggende dell’area reto-ladina, incontrate attraverso i racconti di una vecchia cameriera che lo aveva assistito durante una malattia lunga un’anno ai primi del ‘900. Da allora la sua ossessione fu girare per quelle valli, raccogliendo dalla viva voce dei vecchi quelle storie. Prima che sparisse la generazioni ancora in grado di ricordare.
Voleva essere l’ Omero, o il McPherson, di una tradizione orale che risaliva ai popoli reti e celtici che in quelle valli alpine si erano mescolati prima dell’occupazione romana. E che chiamavano se stessi “Ladini”. Ovvero Latini.
Quelle leggende, miti e fiabe insieme, raccolse e rielaborò in modo certo molto personale. Che fa storcere il naso agli accademici del settore. Ma Carlo Felice era uso aggirarsi per quei monti, ascoltando non solo i racconti degli uomini, ma quelli dei luoghi. Le storie che gli narravano le pietre e gli alberi.
Ricostruì, così, un epos fiabesco, la saga del misterioso Regno dei Fanes, e il giardino di rose di Re Laurino. Di Spin de Mul, il malvagio stregone che nelle notti di tempesta cavalca sotto forma di mulo selvaggio fra le cime. Le avventure dell’eroe Ey de Net, Occhio della Notte, che amò invano la figlia del re dei Fanes, Dolasilla la principessa guerriera, e fu da questi però tradito. Dolasilla morì. Ma il re divenne pietra, e l’eroe, invece, incontrò la “Luzienda Soreghina”. La Figlia del Sole, la cui bellezza viene ancora celebrata in un’antica canzone di montagna in ladino…
Saghe, leggende, fiabe. Che riportano a quando i primi Reti mossero dall’Anatolia e attraversarono le nostre Alpi. Scendendo poi lungo la penisola per dare vita al popolo degli Etruschi. Ma nelle Alpi lasciarono molti di loro, il culto misterioso di Reithia, dea luminosa e solare, dea, forse, dei cavalli, rappresentata, però, spesso sulla tolda di una nave. E il culto di un altro Dio, oscuro, notturno, che si aggira fra i monti con una lancia di frassino. Ed un ampio cappello che gli tiene nell’ombra un Occhio….
Le pietre e gli alberi delle Dolomiti ricordano queste storie. Storie di antichi Dei divenuti eroi e dame bellissime. Storie di Re che, se mentivano, venivano trasmutati e imprigionati nelle rocce. Storie di un’Italia arcaica ed arcana. Che appare remota a noi. Ma che in quei luoghi resta presente. Basterebbe saper guardare. Ed ascoltare…