San Nicola è trascorso. Ed ha portato i suoi doni, piccoli giocattoli da bancarelle, dolciumi, mandarini, noci… Li ha portati in qualche paese del Nord, sopratutto nei villaggi, spersi nelle campagne e nelle valli montane. Dalle Alpi alle Ardenne. E in città, di confine, come Trieste, Trento…
È passato, con l’abito verde bosco che gli attribuisce la tradizione. Tradizione settentrionale, che ha completamente sfigurato l’iconografia bizantina del Santo Vescovo di Myra, che certo era uso vestire in ben altra guisa… E altrettanto certamente non viaggiava di notte tra la neve. Per di più seguito da una sorta di fauno, con piedi caprini e corna. E, se non bastasse, da una schiera di diavoli urlanti, armati di fruste….
Sempre le stesse storie, si dirà. Adesso torna a dirci che San Nicola, poi divenuto Santa Claus, altro non è che il vecchio Odhino, o chi per lui, che guida la Caccia Selvaggia….
Che ci volete fare? Questo è il periodo del Solstizio d’inverno, e le storie si rincorrono, sovrappongono, ripetono… Perché le storie, le fiabe se preferite, sono come il tempo. Cicliche. E ritornano. Sempre diverse e, al contempo, sempre uguali. Ed è solo la nostra arroganza, la nostra ybris, a non permetterci di capire. A lasciarci nell’illusione di essere unici ed irripetibili. Illusione pietosa e, al contempo, grottesca…
Comunque, torniamo a San Nicola. E ad una filastrocca che veniva canticchiata in occasione del 5/6 dicembre dai bambini. A Trieste e, con accento diverso, anche a Trento ed in altre località del nostro Nord Est. Ovvero della porzione di Mitteleuropa divenuta Italia.
“San Nicolò de Bari, protettor dei scolari / Se i scolari no fa festa / San Nicolò ghe tajarà la testa”.
Motivetto allegro, che un tempo risonava alla vigilia di quella festa che annunciava quelle, ben più lunghe, di Natale. Ed era comunque gradita interruzione, la possibilità di tirare il respiro per scolari usi ad una scuola meno “tecnologica”, senza banchi a rotelle, senza mascherine e DAD. Insomma, una scuola vera, dove si sgobbava e in quattro ore il Maestro, unico, ti insegnava quello che oggi un “Team”, come si dice, non riesce a fare in otto.
A scrivere correttamente e far di conto ; a disegnare e le storie, al plurale, dai greci sino al Risorgimento, magari facendoti leggere Cuore di De Amicis; e la Geografia, con le cartine mute, e anche qualche rudimento di musica… Un Maestro che non aveva paura di avvicinarsi agli allievi – e magari allora infuriava la Spagnola, ovvero una peste vera, un milione di morti solo in Italia, una cinquantina nel mondo… O come ai miei tempi l’Asiatica o la Spaziale… – Non aveva paura di avvicinarsi agli scolari, di toccarli. E infatti tirava sventole fulminanti. Quando non usava la stecca sulle mani… roba da far fondere, oggi, il Telefono Azzurro. E però nessuno si sentiva maltrattato o brutalizzato. E si imparava. Caspita se si imparava…
Comunque all’arrivo della festa si era allegri. Libera uscita. A saltare per i fossi e a caccia di rane e lucertole. O a far a sassate fra quartieri.. ché mica c’erano smartphone, parchi giochi e altro. Ci si arrangiava così. E ci si divertiva da matti..
Di qui l’allegria e la canzoncina in onore del Santo. Che, per di più, ti portava qualche balocco, caramelle, e noci, nocciole, mandarini. Magari un croccante. Leccornie che oggi manco ci si sogna…
Però questa canzonetta, leggendo bene il testo, un po’ inquietante è… Perché se gli scolari non faranno festa, il buon San Nicola taglierà loro la testa. Che non è una minaccia pedagogica per invitare i bambini a stare buoni, a comportarsi bene. Non è, insomma, la minaccia di trovar carbone nella calza della Befana. È altro. Molto altro. Molto di più…
Perché la Festa va celebrata. E rispettata. Ha un valore in sé. O meglio la Festa, ogni Festa della tradizione, è un simbolo. Quindi una porta che si apre, collegando la nostra (apparente) realtà con ben altra dimensione. Non transitoria. Perenne. Volendo giocare ai filosofi, e complicare le cose, potremmo chiamarla la dimensione dell’essere. Che è e non diviene. Come intuì Parmenide, e come spiega Severino…
Ora rispettare, ovvero “santificare” le Feste – come diceva una Chiesa oggi in preda ad amnesia – è sempre stato, per tutte le culture, un atto rituale fondante. Sacro, appunto. E imprescindibile. E mica sto parlando di Cenoni col tacchino ripieno o di trenini con suono di trombette e cotillon… Sto parlando di riti, che mettono in armonia gli uomini e la loro società con l’universo. Con Dio, o con gli Dei, come preferite.
E questi riti non possono venire spostati, differiti, modificati in modo arbitrario. Certo, vi fu Qualcuno che proclamò finita la Vecchia Alleanza, e diede inizio alla Nuova. Ma con un Atto Sacrificale. Non con un DPCM. E poi, sinceramente, non vedo traccia che so, di un profeta in questa Roma desolata. Su nessuna delle due sponde del Tevere…
E se non si rispettano i riti, se non si onorano le Feste, si deve pagare dazio. E pesante. Dalle profondità può emergere un cavaliere oscuro, e mozzarti – come nei Misteri di Sleepy Hollow di Washington Irving, magistralmente portato sullo schermo da Tim Burton – quella testa che non hai saputo, o voluto, usare.
O a tagliarti la capoccia può essere lo stesso San Nicola, con l’aiuto del Krampus. Perché buono buono, certo… ma se s’arrabbia….
Così t’impari…. direbbero gli scolari di una volta. Che la sapevano molto più lunga di tanti ministri e scienziati ed intellettuali di oggi… Anche perché frequentavano una scuola vera. Con dei veri Maestri…