L’inverno si avvicina, come si suol dire, a grandi falcate… Certo, a quello astronomico, al Solstizio, mancano ancora un po’ di giorni. Ma quello metereologico è ormai già qui. Ufficialmente l’inizio sarà il primo di Dicembre. Tuttavia fa già freddo. Un freddo che punge. E all’alba si possono scorgere le prime, leggere, brinate…
Inverno. La stagione del freddo. In latino “Hibernum”. Lunghi mesi freddi e oscuri. La “nigredo”, l’opera al Nero alchemica. Quando la terra è chiusa in se stessa. E sembra morta. Una sfera fredda, che ruota in un cielo gelido. Eppure…. in questo senso di morte che pervade la natura, alberi spogli, foglie decompose che divengono fanghiglia sotto i piedi, il terreno che suona duro e vuoto sotto i tuoi passi… in questa sensazione mortifera si cela la vita.
La vita che urge sotto la superficie. I semi che, dalla decomposizione, traggono la forza che, a primavera, porterà alla nuova fioritura. Alla rinascita.
Poi vi è il Cielo. La volta celeste. Che, più fa freddo, più diviene tersa. Di notte soprattutto. E vedi le stelle. E i pianeti. Che si distinguono ad occhio nudo, le loro luci fisse. Non il brillare pulsante degli altri astri. E questo Dicembre si annuncia con una straordinaria congiunzione Giove Saturno. Rara. Dicono che non la si vedesse dal Medioevo. Non so se sia vero. Ma mi piace crederlo. Guardare il cielo, e pensare che, forse, è lo stesso cielo che contemplava Dante, pensando ai Canti del Paradiso… Improbabile, lo so… Ma mi dà, comunque, un senso di vita. Di vita che è tra le stelle. E che attende la rinascita del Sole. Il Solstizio, che è ormai prossimo.
Poi ci sono le prime gelate. La brina. In qualche luogo la galaverna. Con le sue architetture fantastiche e iridescenti nella luce dell’aurora. Architetture che fanno sbiadire le fantasie geometriche di Escher.
È la stagione di Jack Frost. L’elfo della brina e del ghiaccio, nella tradizione delle isole britanniche. Un ragazzo, una sorta di monello che si diverte a disegnare felci di ghiaccio sui vetri delle finestre. A pattinare sui laghi ghiacciati. A lanciare palle di neve, restando invisibile ai malcapitati.
Nel mondo russo è, invece, il regno di Ded Moroz, Padre Inverno. Anziano, con la barba bianca e l’abito argenteo e oro, e il collo di pelliccia candida. Una sorta di Santa Claus, ma dal volto severo ed austero. È L’inverno russo. Lungo ed aspro. Con la coltre di neve, alta e spessa, che copre ogni cosa. Ovatta i suoni. Spegne e colori in un’uniforme bianco accecante…
Jack Frost e Ded Moroz. La giovinezza e la vecchiaia. Lo slancio vitale è la saggezza. L’anno che finisce e quello che sta per avere inizio. I due volti dell’inverno. In fondo, la metafora della vita….