Oltre mille anni di Fiera di Sant’Orso, ad Aosta. Poi sono arrivati Speranza, Boccia ed un branco di disadattati spacciati per esperti. E la Foire si è trasformata in una robetta patetica, triste, trasmessa online. Senza i contatti con gli artigiani che espongono, senza la possibilità di incontrarsi in mezzo all’immensa folla che percorre il centro della città.

Il web e la fiera sono in totale contraddizione. La fiera, per sua natura, rappresenta il momento dell’incontro, fisico, della festa. E la festa si fa bevendo con gli amici, guardandosi negli occhi, abbracciandosi. Non è una vetrina virtuale dove si mettono in vendita prodotti artigianali come se fosse Amazon. E non aveva mai rinunciato alle date canoniche, 30 e 31 gennaio, neppure per approfittare dei fine settimana quando si era nei giorni vicini. Se si comincia a cedere alle logiche del terrorismo di Stato, tanto vale cancellare anche questa antica tradizione delle fiere non solo valdostane.

Si perde il rapporto umano e poi si perde la logica stessa dell’artigianato di qualità e di tradizione. Gli oggetti devono essere visti, toccati, a volte annusati, perché il legno ha un suo odore particolare che non si trasmette sul web. Si perde il fascino della festa, della musica in compagnia, delle parole scambiate per caso.

Ma probabilmente è proprio tutto questo che ha spaventato Speranza, Boccia ed i loro esperti a gettone. La libertà, le tradizioni locali, la qualità artigianale, la cultura non omologata: tutto da cancellare, perché l’uomo nuovo deve essere un consumatore globale, che sceglie le stesse cose in ogni parte del mondo. Basta con le sculture in legno che rappresentano una tradizione millenaria, basta con i mobili che non arredano i loft di New York, basta con i formaggi ottenuti da vacche e capre del territorio quando si possono e si devono consumare finti formaggi di tofu. E basta con Sant’Orso che magari non piace al sociologo che occupa il Vaticano.