Finalmente col 31 marzo è cessato lo stato di emergenza per il Covid e tutto sta tornando come prima. Lentamente verranno tolte tutte le limitazioni e potremo metterci alle spalle questo periodo così duro e difficile. Alcuni gioiscono già al ritorno alla libertà. Eppure, a ben vedere, bisognerebbe stare attenti prima di esultare in modo così fragoroso.
Infatti dal primo aprile cesserà solamente lo stato di emergenza relativo alla pandemia ma ne rimarranno ancora attivi ben 19, compreso l’ultimo stabilito a fine febbraio per gestire gli effetti della guerra in Ucraina. Ricordiamo brevemente quelli più importanti tra gli altri: lo stato di emergenza che cesserà il prossimo 23 dicembre a seguito dei nubifragi record che colpirono l’Alessandrino lo scorso ottobre; a giugno terminerà quello relativo al maltempo del dicembre 2020 in Friuli Venezia Giulia; è stata poi prorogata al 10 settembre 2022 quella riguardante il Bellunese, a seguito degli allagamenti e delle frane dell’agosto 2020; proroga fino a fine anno anche per l’emergenza post terremoto del dicembre 2018 lungo il fianco orientale dell’Etna; ricordiamo infine quella per l’isola di Vulcano dove a fine 2021 si era registrata un’eccessiva concentrazione di gas vulcanici nocivi. Come possiamo ben vedere da questo elenco, seppur non completo, le emergenze sono normalmente a carattere locale, solo quella per il Covid ha assunto caratura nazionale.
Ma cosa si intende esattamente per stato di emergenza, termine entrato di prepotenza nel linguaggio comune negli ultimi due anni ma di cui ben pochi conoscono gli effettivi contenuti? Si tratta di una sorta di potere “speciale” di intervento conferito dal Governo alle amministrazioni competenti, spesso col supporto decisivo della Protezione Civile. E’ infatti stata la legge n. 225 del 1992, relativa proprio all’istituzione del Servizio nazionale della Protezione Civile, a prevedere all’art. 5 l’introduzione dello stato di emergenza e il potere di ordinanza ad esso connesso: può essere dichiarato al verificarsi o nell’imminenza di calamità naturali o eventi connessi all’attività dell’uomo in Italia o anche in caso di gravi eventi all’estero nei quali la Protezione Civile italiana partecipa direttamente (vedi il recente caso del conflitto in Ucraina).
Ma, a prescindere dai tecnicismi in materia, quali sono le ragioni per cui in Italia lo stato di emergenza è così strutturato? La risposta è molto semplice, tutto questo dipende dalla nostra Costituzione (che molti, ahimè, considerano sacra ed inviolabile…). La Carta costituzionale infatti prevede unicamente all’art. 16 che sia demandata alla legge la determinazione, in via generale, di limitazioni – anche per motivi sanitari – alla libertà di circolare liberamente sul territorio nazionale ma non prevede alcun articolo espressamente dedicato allo stato d’urgenza o necessità. La nostra Costituzione è infatti figlia degli accordi tra le diversi componenti politiche che l’hanno scritta (cattolica, socialista e comunista), diverse e distanti tra loro su alcuni punti tranne uno specifico: la possibilità del ritorno in Italia di un regime fascista. Preoccupazione forse comprensibile nel 1946 ma non certo oggi. Eppure è propria questa impostazione di fondo che ancora comporta grossi limiti per la politica della nostra Nazionale.
Pensiamo banalmente al dibattito più che trentennale sul presidenzialismo. C’è ancora chi parla di “pericolo fascista” nelle ipotesi di riforma della struttura costituzionale per assegnare maggiori poteri politici al Presidente della Repubblica o del Consiglio. Ed ecco perché, di fronte a situazioni di crisi, si può unicamente adottare lo stato di emergenza. Per paura che una singola persona, o meglio carica istituzionale, possa affrontare in prima persona le emergenze, si preferisce delegare poteri “speciali” alle amministrazioni locali. Idea che in sé, soprattutto in riferimento a calamità naturali, può anche avere un senso e una sua logica. Ma in situazioni molto più complesse e delicate, come quella pandemica, ha mostrato tutti i suoi limiti e difetti. Con effetti oltretutto paradossali. Per timore che la politica potesse affrontare di petto il problema del Covid (preoccupazione in effetti comprensibile calcolando che all’epoca avevamo Giuseppe Conte come premier…), la gestione è stata nei fatti demandata al fantomatico CTS, che non ha fatto altro che impaurire la popolazione ed assumere un atteggiamento talebano soprattutto nei confronti di chi poneva dei dubbi alla narrazione dominante in materia di pandemia. Come succede spesso in Italia, il problema esce dalla porta per poi rientrare dalla finestra.
Certamente una riforma presidenzialista della nostra Costituzione avrebbe comunque un grosso problema da affrontare: la scarsa capacità dell’attuale ceto politico. Ma una soluzione vi sarebbe: aumentare sì i poteri dell’esecutivo ma, contemporaneamente, aumentare anche le responsabilità di chi adotta decisioni errate. Pensiamo solo a tutto quello che è successo negli ultimi due anni: qualcuno ha pagato per gli errori commessi? Eppure non si tratta di cose futili ma di migliaia di morti, soprattutto nei primi periodi della pandemia quando il mantra di tutta la classe politica era quello di minimizzare la possibilità che la pandemia arrivasse fino a casa nostra e i diversi partiti litigavano tra loro sull’opportunità di chiudere ermeticamente il Bergamasco come fatto a Vo’ Euganeo. Su questo dovrebbero confrontarsi le forze politiche che spingono per la riforma presidenzialista. Specificare che non si tratta solo di concedere maggiori poteri ma anche maggiori responsabilità. O, almeno, così dovrebbe essere un serio presidenzialismo. Tutto il resto è puro avanspettacolo e della peggiore specie.