Vedo, per caso, l’immagine di una fionda. È una bella fionda, di metallo, di quelle moderne e, in un certo senso, tecnologiche.
La guardo a lungo. E, al solito, mi vengono in mente tanti ricordi…
Per forza, dirà il Direttore. Sei vecchio, e come tutti i vecchi vivi di ricordi.
Beh, forse…e comunque sempre più giovane di te… Tuttavia, devo dire che certi oggetti – forse tutti, ma alcuni in particolare – hanno una loro…anima. Ed è un’anima che ci parla. Attraverso il canale del ricordo. Non è essere vecchi. Solo che ci vuole del tempo per imparare il linguaggio delle cose. E saper ascoltare.
La fionda. Evoca giochi di ragazzi. E mi rimanda al “Davanti a San Guido” del professor Carducci. Che più di ogni altro, forse, è poeta dei ricordi d’infanzia.
Più di Leopardi? Più del Pascoli?
Sì. Perché Leopardi è morto giovane ancora. E Pascoli ha ricordi troppo dolenti. E velati di ombre. Carducci è morto a oltre ottant’anni. E il suo ricordare è…iridescente di colori.
E i cipressi di San Guido rievocano le sassate che gli tirava da ragazzino. Così io me lo figuro con una fionda in mano. Molto prima di diventare il poeta professore…
Certo, una fionda rudimentale. Come quella con cui, da ragazzo, giocavo anch’io. E i proiettili erano pietruzze. Qualche volta biglie di vetro colorate. Con strumenti di quel tipo, la precisione era aleatoria. Eppure ci si sentiva dei guerrieri. O, addirittura, delle figure mitologiche
Erano gli anni in cui andava per la maggiore una serie televisiva francese. Oddio, per la maggiore…in una televisione con appena due canali, si faceva presto a fare grandi successi di audience.
Comunque la serie si intitolava “Thierry La Fronde”. Ed era la storia di una sorta di Robin Hood francese, che combatteva nei boschi contro il dominio degli inglesi di Edoardo il Principe Nero. Storia del XIV secolo. E storia avvincente. Anche grazie alla colonna sonora di Jacques Loussier. Per inciso, un geniaccio musicale mica da poco. Un grande jazzista. Che eseguì la versione jazz di molte opere di Bach. In particolare delle, famose, Variazioni Goldberg…
Comunque, a differenza del ben più famoso Robin britannico, Thierry come arma preferiva la fionda. E con questa faceva sfracelli dei nemici. Facendola ruotare in modo vorticoso e appassionante.
Certo, non era la fionda di legno ed elastico con cui si giocava noi ragazzi. Era l’antica frombola dei greci e dei romani. Che diede ancora micidiale prova di sé nelle mani dei, famosi, frombolieri rodioti. Che, dalle mura di Costantinopoli, fecero strage delle milizie ottomane di Mehmet II il Conquistatore.
La nostra piccola fionda poteva, al massimo, far del male ai nidi di passeri.
Però, quando la impugnavamo, ci sentivamo tutti dei Thierry. E, i più colti in storia biblica, dei piccoli Davide.
In realtà, anche la versione della fionda ad elastico, quella, per intenderci, che usavamo da bambini, può trasformarsi in un’arma micidiale. Se l’impugnatura è di metallo, se l’elastico ha una forte tensione e se il proiettile è una biglia d’acciaio. Può uccidere. E come tale viene usata da commandos di varie nazioni. Mi sembra che faccia la sua comparsa anche fra le mani di Rambo.
Micidiale. Roba da killer di professione. Che ha goduto, per altro, di una notevole popolarità e fortuna sul finire degli anni ’70 del secolo scorso.
Durante le, violente, manifestazioni di piazza, soprattutto nella, effimera e sanguinosa, stagione della Autonomia Operaia.
Che, poi, di Operaia non c’aveva proprio niente. Perché erano tutti studenti. E per lo più figli di papà. E anche per quello che riguarda l’autonomia ci sarebbe molto di che dire. Ad essere generosi, oggi si potrebbe parlare di una sorta di Utopia velleitaria e confusa. Dietro alla quale si agitavano ombre che con i, conclamati, interessi della Classe Operaia nulla avevano a che spartire. Anzi…
Comunque, ricordo bene, come se fosse oggi, una scena accaduta nella piazza antistante il Liviano. A Padova. Una manifestazione dei giovani di destra. Allora si chiamava già Fronte della Gioventù. Anche se, sino a non molto tempo prima, la sigla era quella, più mazziniana, della Giovane Italia.
Mi sembra che la manifestazione, abbastanza spontanea e certo non autorizzata, fosse conseguente alla morte di Mikis Mantakas. Uno studente greco, di destra, assassinato a Roma in quei giorni. Erano anni violenti, e tenere il conto dei morti, dalle due parti, risulta ancora difficile. Oltre che, ormai, inutile.
Comunque, il corteo si diresse, bandiere al vento, in direzione del, famoso, Liviano. Che era la facoltà di lettere, roccaforte storica della estrema sinistra prima, della Autonomia poi. Perennemente occupato. Tant’è che mio padre, quando palesai la mia intenzione di darmi allo studio delle lettere antiche, mi spedì a Trieste.
“Se devo spendere soldi, almeno che li spenda per farti studiare. E non per perdere tempo, o, peggio, per cacciarti nei guai.”
Aveva ragione, ovviamente. Ma questa è altra storia…
Il corteo, in vista dell’arco che dava accesso al Liviano, venne cordialmente ricevuto da una schiera di autonomi con casco da motociclista. E fionde. Che lanciavano biglie di ferro e cubetti di porfido.
Ricordo come se fosse ieri (sì, va bene, Direttore, sono vecchio… contento?) un improvviso spostamento di vento vicino ad un orecchio. Mi giro, e vedo un foro sul legno della serranda di una vecchia edicola, naturalmente chiusa rapidamente dal gestore. Pochi centimetri più a destra e, probabilmente, non sarei qui a scriverne.
Però, incredibilmente, non vi furono morti. Né feriti gravi. Anche perché di lì a poco arrivarono le camionette della Celere. E misero a posto tutti. Con sapiente uso del manganello.
Talvolta mi chiedo che fine abbiano fatto quei provetti frombolieri, che giocavano alla rivoluzione. Come stiano vivendo, se ancora sono vivi, questi anni. La, cosiddetta, pandemia. La negazione di ogni libertà. L’informazione di regime. La guerra in Ucraina. Le mascherine. La paura di morire, che diviene ragione per non vivere…
Per altro, è una domanda che mi pongo anche sugli altri. Che, come me, marciavano credendo di essere, anche loro, dei rivoluzionari.
Domande per le quali non oso fornire risposte. Non perché non ne abbia. Ma perché troppo…tristi. Per entrambe le parti. Per entrambe le storie…
Ecco. È questo che intendevo all’inizio. Parlando dell’anima delle cose. E del loro…parlarci. Usando, certo, il gioco di ricordi e memorie. Ma per dirci molto, davvero molto di più. Sul nostro presente. E, a ben vedere, su noi stessi.