Hanami. Il nome con cui i giapponesi chiamano un’usanza tradizionale. Antica, profondamente radicata. E intensamente poetica. Vuol dire contemplare gli alberi in fioritura. Sopratutto i ciliegi. Sakura. Che rappresentano il segno visibile che è, finalmente, giunta la Primavera.
“Oh , guarda! /Null’altro da dire /davanti ai ciliegi in fiore.” così Yashuara Teishitsu, uno dei maestri dell’haiku del XVII secolo, esprime l’emozione di fronte allo spettacolo della fioritura. Emozione che non può venire descritta con parole. Solo avvertita, come pura meraviglia. È l’empatia delle cose, il mono – no – aware su cui si fonda la concezione giapponese dell’arte. E che trova nella tecnica, o meglio disciplina dell’haiku la sua espressione più compiuta

È la capacità di afferrare l’emozione pura che trasmette un fenomeno naturale. Prima che questa venga elaborata dalla mente. Prima che si trasformi in giudizio. O in sentimento. Che, come dice la parola stessa, è la mente che riflette sul sentire. Riflette.. quindi priva l’emozione di vita. Di intensità. Lo aveva capito Leopardi, che parla della poesia ingenua, o naturale, degli Antichi. A noi, ormai, preclusa. Condannati ad una poesia sentimentale. Filosofica. Quindi riflessa e morta.
Contemplare i ciliegi in fiore. Specie di notte. Yosa Buson, uno dei più grandi, ci dona questa immagine
“Cadono i ciliegi in fiore /sugli specchi d’acqua della risaia:/stelle/al chiarore di una notte senza luna.”
È un’emozione perfetta. Callimaco di Cirene, chi sognava un unico verso perfetto, ne sarebbe restato incantato. La distanza nel tempo e nello spazio significa poco. A volte nulla nella poesia. Purché la poesia sia disciplina interiore. Ricerca della pura percezione della natura. Simbiosi. E non, come oggi accade, rimestare nella sentina della propria psiche, tra istinti e passioni inconfessabili. E a noi stessi sconosciute.
Mishima apre il primo libro della sua Tetralogia del Mare della Fertilità, uno dei massimi capolavori universali del ‘900, con i protagonisti che si radunano per contemplare i ciliegi fioriti. Sui quali, improvvisa discende, poi, la neve. “Neve di Primavera”. La purezza dell’ immagine iniziale, trasmette tutt’altro senso ad una storia di passioni torbide e tormentate. Un senso di liberazione. Di illuminazione che trascende il destino, transitorio, degli uomini.

Nel pratone incolto di fronte a casa – dove i bambini talvolta giocano, nonostante le proteste e le denunce delle spie da balcone – un mio amico ha trapiantato, sul finire di febbraio, un piccolo tronco di pèsco, che era stato gettato nei rifiuti. Dato per morto.
E invece ha ripreso vita. Ha gettato gemme. Ed ora è in piena fioritura. Poca cosa, certo. Non gli splendidi boschi di ciliegi dell’Hanami giapponese. Eppure, sul balcone, nella notte innaturalmente silenziosa, ne intravedo la sagoma. E mi sembra di intuire i fiori, rosati nella luce di una luna ancora vicina al suo Culmine. Forse è solo suggestione… ma anche nel vento, fresco non più freddo, vi è un sentore. Un vago profumo.
Mi viene in mente Kobayashi Issa.
“Mondo di sofferenza :/eppure i ciliegi /sono in fiore. ‘
Per un attimo, mi sento in pace.