Dalla porta finestra della terrazza, entra un foglia. Portata dal vento, soffocante, di scirocco. Volteggia. E si posa quasi al centro del salotto. È una foglia piccola. Accartocciata. Secca.
È, forse, la prima che vedo quest’anno. Così. E, come tutto ciò che vedi per la prima volta, che appare, ancorché anzi soprattutto fuori stagione, ınatteso, assume il valore di un presagio. Perché la Natura con i suoi fenomeni, è come una sorta di libro augurale – meglio ancora, pensate ai Libri Fulgurales che i Romani ereditarono dagli avi Etruschi – che, se ben letto, ovvero osservato, ti permette di comprendere il futuro…
Chiaramente, nessun riferimento a cartomanti televisive, Mago Otelma, Do Nascimiento, Vanna Marchi e altri imbonitori di frottole per casalinghe frustrate e allocchi mediatici. Sto parlando di ben altro. Di qualcosa che ho ritrovato, tantissimi anni fa, in un vecchio libro, “A scuola dallo stregone”. Il primo scritto dall’allora giovane etnologo Carlos Castaneda. Destinato, poi, a grande fortuna e fama, ma non come studioso…Bene, in un capitolo, Don Juan, lo stregone yaqui, spiega che si possono trarre presagi da ogni cosa. Da tutto ciò che avviene intorno a noi. Dal tempo atmosferico, dal comportamento degli animali, e persino dagli oggetti (apparentemente) inanimati. Ad esempio, una vecchia caffettiera che borbotta sul fuoco.

Il problema è la nostra attenzione. Per lo più assente, perché siamo sempre troppo impegnati nel nostro dialogo interno. Nel nostro perenne, immutabile e inutile soliloquio. Nel quale ci compiangiamo, esaltiamo, deprimiamo, giustifichiamo senza posa. Divenendo incapaci di vedere e sentire ciò che avviene fuori della nostra psiche…
Torniamo, però, a quella foglia. Secca e morta, che è entrata in casa. Siamo ai primi di Luglio, per questo mi ha colpito. Tra due mesi e poco più, settembre /ottobre, non ci avrei fatto caso alcuno. Sarebbe stata semplicemente la norma. L’autunno. Ma ora siamo, o pensiamo di essere, nel pieno dell’estate. E associamo questo ad immagini di vitalità, rigoglio, colori intensi… Non ad una foglia disseccata …
Eppure, proprio questo suo essere, apparentemente, fuori stagione, dovrebbe far pensare. Suscitare una serie di pensieri, echi, immagini che vengono non dalla gabbia della nostra scatola cranica. Ma da un altrove che appare fuori di noi. E del quale, comunque, siamo parte.
“Le foglie morte cadono a mucchi /Vedi, non ho dimenticato /le foglie morte cadono a mucchi…” Ma i versi di Prévert parlano, per analogia, dell’autunno. Del sapore dolce amaro di amori passati e (forse) finiti. Del declinare della vita….Mucchi di foglie secche. Che verranno, certo. Come sempre.Ma qui è una fogliolina solitaria, trascinata dallo scirocco. La sua solitudine è, però, colma di una magica suggestione. Dà il senso dell’effimero, della fragilità che si cela dietro alle parvenze più rigogliose. Di come tutto sia transitorio… tutto scorra. Ma forse Eraclito non aveva tutte le ragioni. Forse anche Parmenide ne aveva.

Perché tutto si riavvolge, come una ruota, su sé stessa. E lo scorrere è apparente. Nell’estate vi è già il segno dell’autunno. Ma nell’inverno profondo, una foglia verde, un filo d’erba fra la neve… È già presagio di primavera…Banale? forse… ma da vecchio appassionato di haiku, vedo in queste impressioni del momento qualcosa di più. Molto di più di una foglia secca ai primi di Luglio. Una metafora, o meglio un pensiero metaforico del vivere e del morire. E del tornare, poi, in altra forma, a vivere. Un moto… incessante.
Humor filosofico. Malinconia. Me ne scuso… stasera è così. Colpa dello scirocco. Di quella foglia. Che, però, mi dice molto di più delle parole vacue di virologi, esperti, politici in televisione…
1 commento
Fin dalle prime parole, questo scritto mi riporta il ricordo di un’altra breve lettura,di cui quasi trovo conferma nel momento in cui giungo a quella caffetteria e rispettiva foto che l accompagna.Si intitolava ONTOLOGIE e vorrei cercare di ritrovarlo. È la dimostrazione, infondo, del mio cercare e,soprattutto, trovare, involontariamente,sempre le stesse cose che amo e sento vicine.
C’è,poi, un riferimento a quel libro di Castaneda,un altro aggancio che mi riporta indietro di 25anni, in una calda estate romana, una fine agosto,in cui mi ritrovai in una casa con un vecchio piatto per i dischi, qualche LP,quel libro con qualche altro lasciato lì,i segni di una precedente vita che, in quel momento, incontrava la mia.Segni,in quell’ anno,tra Montesacro e Talenti.Segni ai quali sfuggimmo, sbagliando, credendo di rispettare e non creare disturbo a quotidiane esistenze già definite.
Ma, non sono quelli troppo presi dai proprî soliloqui,da quegli entusiasmi o elucubrazioni atte ad autoassolversi da errori o incapacità, colori i quali sono incapaci di soffermarsi sull altro da sé,oltre il proprio ego.
In genere, infatti,chi ama riflettere,nella maniera descritta,seppur battendo sempre le stesse strade e, dunque,commettendo gli stessi” errori”, è proprio il” pensatore” che sa vedere anche quella foglia ed anzi,mosso da essa,giunge ad altri lidi.Vedere senza occhi,sollevare il velo di Maya; resta un atto di coraggio, accettazione del dolore e delle possibilità, non la rassicurante certezza data dalla banale visione comune,comunitaria senza individuo.
In quell’ anno,a Roma,mentre attendevo l autobus( la mia vita alle fermate), trovai un flauto dolce, proprio nei giorni in cui avevo deciso di comprarne uno,nel giardino di un condominio, sotto una piccola Madonnina.
Per una non credente, fu necessario trovare ogni sorta di giustificazione.
Così come, anni fa, una notte mi ritrovai una lucciola addosso.Un racconto che,in breve,ho lasciato ad un Amico(sconosciuto).
Chi vive perduto nel proprio dialogo interiore senza egoismo(che è il vero problema o peccato),dialoga da sempre con i fenomeni e l Essere,le sue manifestazioni.
Cadendo nelle stesse trappole della mente, questo sì, è vero,ma è umano.
L unico vero sbaglio, che però io non chiamo sbaglio, ma peccato, è il chiudersi dinanzi ai fenomeni stessi,elaborarli solo in apparenza, ma non abbracciarli,non LASCIARSI VIVERE.
Contro le vane ciarle di questo immanente mondo,ma anche quelle APPARENTEMENTE più” impegnate” nel senso di rivolte all amore,al bene,alla luce, che stanno diventando alla moda in questi anni e che,di fatto, sono vuote, segni di ignoranza e di pochezza.Difficile da spiegare…
Le foglie morte di Prévert o Hikmet, anche di amori che non finiscono,quelli non consumati,quelli lasciati nell’ incertezza, quelli che non possono morire, perché sono fuochi accesi,alimentati dentro di noi anche da una sola foglia secca,potente,mentre dice- ECCOMI,io sono qui, sono stata,ci sarò-.
E, mentre scrivo,quella foglia mi porta una visione,la scena di un film, in cui tra le foglie secche volteggia una busta…ed un monologo,con in sottofondo un brano di Thomas Newman, forse,un film americano,ma degno di un presocratico.
Lo scritto di oggi è,a mio avviso, quasi collegato a quello di ieri,in cui ho sentito una differenza (dolorosa)tra quelle -Passeggiate romane- e quelle cariche di slancio e di vitale incoscienza,di un paio di mesi fa.Ci sarebbe stato da dire,ma riesco a scrivere almeno questo.