Raccontano che Ernst Cassirer stesse tenendo lezione a Berlino, quando si cominciò a sentire sparare. Un suono che divenne, rapidamente, sempre più fitto e assordante. Era iniziata la Rivolta degli Spartachisti. Una frazione estrema del Partito Social Democratico, che prima si era opposta alla guerra, e ora, dopo la sconfitta della Germania del Kaiser, insorgeva. Proprio contro un governo espresso dal SPD. Insurrezione suggestionata da quella bolscevica in Russia, naturalmente. Anche se il marxismo degli Spartachisti era ben diverso da quello di Lenin. Sognavano una Repubblica dei Consigli, una sorta di governo della base popolare
E rifiutavano il centralismo e l’autoritarismo dei Soviet. Vennero repressi nel sangue, ovviamente. Uno dei tanti episodi di quel magma ribollente che fu la storia tedesca nel primo dopoguerra…
Ma non è questo che mi interessa ora. Non la storia di Spartacus, di Rosa Luxemburg, dei Freikorps. Per altro narrata meravigliosamente da von Salomon. Il Prussiano per eccellenza. Che dei rivoluzionari, ed anche del governo socialdemocratico che li represse, era nemico giurato…
Quello che mi colpisce è, piuttosto, l’atteggiamento di Cassirer. Che si interruppe per un momento – probabilmente, vista l’epoca, stava parlando di Kant – e chiese, pacatamente, agli studenti se preferissero restare o andarsene.
Quasi tutti scelsero di restare.
E lui continuò la lezione…
Altri tempi. Altri studenti. E, forse soprattutto, altri professori. Perché, alla fin fine, è lo stile del professore che ha determinato la scelta degli studenti. Se lui fosse fuggito in preda al panico, o anche solo avesse sospeso la lezione in tono concitato, gli studenti sarebbero corsi fuori. Cercando di tornare a casa in mezzo agli scontri armati. Per certi versi, questo stile, fermo e sereno, può avere salvato molte delle loro vite.
Cassirer era un filosofo vero. Al di là delle sue tesi, più o meno condivisibili, del suo kantismo critico, delle sue dissertazioni sulla Relatività di Einstein…. Era uno che credeva in ciò che diceva. E insegnava. Tradotto in termini odierni, non sarebbe mai entrato in aula con due mascherine, soggiacendo all’obbligo del Green Pass. E alla paura. Aveva rispetto di se stesso, del suo ruolo, degli argomenti che trattava.
E, poi, era un convinto sostenitore dell’uomo fabbro della sua vita. Come diceva l’antico motto latino.
Ovvero, per quanto siano cogenti e oppressivi gli eventi esterni, noi abbiamo sempre e comunque una possibilità di scelta. E, esercitandola, siamo padroni della nostra vita. La forgiamo, al di là della fortuna, avversa o favorevole che sia.
Da Seneca a Machiavelli in molti avrebbero concordato con lui. Almeno su questo.
Noi ben di rado, però, forgiamo le nostre vite. Per lo più subiamo il mondo esterno. E quando le cose non vanno secondo le nostre aspettative, o meglio i nostri desideri, inveiamo contro Dio, i Numi o, come il buon Giuseppe Saragat, contro il Destino cinico e baro…
In realtà dovremmo renderci conto di come le vicende del mondo non obbediscano alle nostre fantasie e illusioni. E, per lo più, sfuggano al nostro arbitrio. Questo, però, non significa che si debba restare passivi, foglie secche trascinate dal vento autunnale…
Il nostro libero arbitrio è, sicuramente, limitato. Per lo meno esteriormente. La navicella di Dante, trascinata da vento e correnti. Che non dipendono da noi. Però abbiamo in mano il timone e possiamo orientare la vela. Possiamo…scegliere. Sempre. Anche quando la situazione esterna ci appare difficile. Drammatica. Tale da non darci speranza. Tuttavia una scelta vi è sempre. E va afferrata. Senza esitazione. Chi si limita a subire gli eventi, è inutile che si lamenti. Ha rinunciato al suo essere uomo. Perché, secondo la tradizione derivata dalla Bibbia, l’uomo è superiore agli angeli stessi, proprio perché a lui è dato di scegliere. Tra il bene e il male. O anche, più limitatamente, tra due possibilità.
Perciò forgia la sua vita. Giorno per giorno. Con le scelte che fa nel campo del lavoro. E in quello degli affetti. Dell’amore. Non può cambiare radicalmente la realtà. Ma può esercitare la sua volontà. Scegliere, come dicevo.
Accettare di vivere in una condizione che ci dà sofferenza, senza cogliere l’opportunità del cambiamento, ancorché dolorosa, comporta una progressiva abolizione. Distrugge la nostra psiche. La annichilisce. Ci riduce ad una condizione che possiamo definire sub-umana. Inferiore a quella degli animali. Perché questi seguono l’istinto. E vivono in armonia con la natura. Ma noi non abbiamo il radar dell’istinto per orientarci nel mondo. Abbiamo la volontà. Che, però, resta silente e dormiente. Passiva. A meno che non si trovi il coraggio di fare delle scelte. Nette.
Il fabbro, quando forgia il metallo, fatica. Suda. Rischia, di continuo, ustioni. Ma alla fine trae dalla materia grezza un oggetto definito. Che risponde ai suoi desideri. E del quale può fermarsi a contemplare la bellezza.
Il ferro rovente diventa opera d’arte.
La vita diventa degna d’essere stata vissuta.