La memoria è qualcosa di ben strano. Qualcosa di non… lineare. Che sfugge, in fondo, ad ogni logica. Per questo ho sempre trovato cretini e inutili i test del Q.I che pretenderebbero di misurarne le capacità. In realtà tutti quei test sono assurdi e inconcludenti. Da insegnante ho avuto allievi intelligentissimi, quasi geniali. Ma, per i test, erano dei border line. Dei semideficienti. Mentre classificavano come superdotati dei perfetti idioti. In genere, però, la vita mette le cose a posto. A ciascuno il suo… alla faccia dei test.

Comunque, la memoria è cosa molto strana. Lo sapeva bene Leopardi. Che inventa addirittura uno specifico lessico per cercare di definirla. Rammentare, la memoria intellettuale, lucida. Ricordare, la memoria del cuore, emozioni, sentimenti. Rimembrare, quasi un evocare sensazioni… fisiche. E Sovvenire. Onde di risacca, che vengono e vanno. Confuse. Effimere. Lasciando, dietro di loro, relitti e detriti.
Detriti, relitti… ovvero frammenti. Che riemergono all’ improvviso. Senza una ragione determinata. Senza che abbiano una particolare importanza. Anzi… a ben pensarci… irrilevanti.
Il profumo di una donna che hai incrociato per strada. In una città sconosciuta.
I volti dei commensali in una locanda spersa fra i monti del Friuli, alle pendici del Conglians… gente con cui non hai scambiato neppure una parola. Forse, ma solo forse, un vago buongiorno.
Un’ombra proiettata sul muro della tua camera, in una notte afosa d’estate… quando eri bambino, e si dormiva con le finestre aperte, perché non c’erano i condizionatori. L’ombra di un volto, uno sguardo che ti gelò il sangue e fermò un attimo il cuore…
E ancora… la musica di violino suonata da un vecchio mendicante, di sera, all’angolo del mercato.
Una vecchia pazza su un autobus che ti guarda e dice “Se tu non ha la sapienza di Davide e Salomone, io non posso farci niente… studia, ignorante!”.
Momenti di noia agostana, stesi sul divano, a leggere libri di avventura, attendendo di partire, finalmente, per il mare. E piluccando uno dei primi grappoli d’uva.
Un pasticcio fatto con frittatine e piselli in ragù, in un ristorante sperso nella campagna veneta.
Il sapore dell’anguria comprata su un banchetto e mangiata subito. La città deserta a ferragosto.
Un grande corvo che ti vola intorno, mentre sei seduto su un prato a leggere. Poi atterra, di fronte a te. E ti guarda. In silenzio per pochi minuti.
Il sapore del primo gelato di stagione. Comprato da Fulvio, il lattaio all’angolo.
Un giorno di febbre alta. A letto. Leggendo fumetti e guardando la pioggia dalla finestra.
Una scarpinata su per un ghiaione. Sotto il sole che sembrava un maglio.
Ore noiose di scuola… e un disegno che andavi tracciando sul banco di fòrmica. Per ingannare il giorno.
Il silenzio di una notte in cui ti eri svegliato. E non riuscivi più a prendere sonno.
Il profumo della carta di un libro ancora fresco di stampa.
Un mandarino sbucciato la vigilia di Natale.
Il ricordo di una fiaba, sui gatti, raccontata come una filastrocca, per farti addormentare da bambino.

Inezie. Particolari senza contesto e senso. Frammenti di memoria che affiorano ogni tanto. Confusi. E subito dispaiono.
Però talvolta mi chiedo… perché mai non li abbia completamente cancellati? Sono ricordi senza senso. Privi di importanza… zavorra e relitti.
Eppure… ho l’impressione di dovere a questi, e tanti altri, frammenti molto di ciò che sono… e che sono stato. Nel bene… e nel male.
Interessi, passioni… paure anche.
Insomma, il mosaico frammentario della vita.