A denti stretti, come se avesse dovuto ingoiare un rospo (e un rospo lo è davvero, ma grosso come un bue) Emmanuel Macron ha dovuto ammetterlo pubblicamente:
La Françafrique non esiste più.
Punto e a capo.
Insomma, tutti i contorsionismi dei, diversi in apparenza, inquilini dell’Eliseo in questi ultimi due decenni, non sono serviti che a procastinare un addio (questa volta si spera definitivo) a ciò che restava dell’Impero coloniale.
A Macron l’ingrato compito di ammetterlo. Ma non lo ha fatto perché buono o liberale, come pensano, e dicono, alcuni babbuini di casa nostra. Soltanto perché obbligato.
Un addio che significa fine del CFA, ovvero la moneta coloniale che Parigi ha continuato ad emettere, e tenere in vita, alla faccia dell’Euro.
Macron aveva, nel 2019, provato a salvarlo in extremis, annunciando che, nell’Africa del Nord Ovest, sarebbe stato sostituito da una nuova valuta. L’ECO. Ma anche questa è favola che non convince più nessuno.
E un addio che implica, poi, la fine del controllo francese sulle risorse delle ex-colonie. Che dovevano, tra parentesi, versare oltre il 70% delle loro riserve auree nella Banca Centrale francese. Che gliele teneva da conto.
E sistematicamente depauperate del grosso dei loro prodotti. Gas, petrolio, uranio, oro, ma anche cotone e prodotti agricoli. Oltre l’80% finiva in Francia. Un’altra quota a Multinazionali anglosassoni. In quelle terre restavano le briciole.
La prosperità francese è dipesa, in buona parte, da queste… entrate.
Infatti stiamo parlando dei paesi più poveri e arretrati del continente. Con quote spaventose di popolazione condannate sotto la soglia di mera sussistenza. Analfabetismo diffuso. E ristrette cerchie di oligarchi lautamente ripagati per la loro fedeltà alla Madre Patria. Alla Francia.
Per altro, paesi drammaticamente instabili. Travagliati da lotte tribali, golpe militari e, da ultimo, dalla guerriglia dei movimenti jihadisti.
Tutti problemi che Parigi non ha voluto, più che saputo, risolvere. Anche se Macron ha rivendicato che la nutrita presenza di truppe francesi in quelle regioni, ha impedito l’affermazione delle filiazioni locali di Al-Qaeda e dello Stato Islamico.
In realtà è lecito sospettare l’esatto contrario. Parigi mai ha avuto interesse a stroncare in Africa l’islamismo radicale. Che nell’ultimo decennio le è servito per giustificare la sua presenza militare.
Ma ora è davvero finita. Un combinato disposto di diversi fattori ha suonato l’ultima ora della Françafrique.
Certo, il dilagare di un sentimento, se non proprio patriottico, anti-francese, che sta favorendo i nuovi regimi militari del Mali, Burkina Faso, Niger… regimi che si ispirano al modello, ormai mitico, di Thomas Sankara.
Tuttavia questo non potrebbe bastare a fare mollare l’osso a Parigi.
L’Africa in generale, e quella del Nord Ovest in particolare, è ormai teatro del gioco tra grandi potenze. Cina, Stati Uniti, Russia… e di attori regionali decisamente pesanti. Come l’Algeria e la Turchia. Non c’è più spazio per l’egemonia francese. Anche a Washington, il Grande Fratello americano dà chiari segni di considerare la presenza invasiva francese una zavorra di cui liberarsi al più presto. In modo da avere le mani libere per giocare la sua partita africana.
Nonostante la solita spocchia, e i richiami al mito della grandeur, Macron è stato costretto a prenderne atto.
Ora si vedrà come potrà ammortizzare il colpo per l’economia francese. Un colpo che potrebbe risultare mortale.