Tempo di Carnevale. È il momento dei galani. E delle frittelle. O meglio delle Frìtole. I due dolci tipici del Carnevale veneziano. Che, certo, trovano alcune corrispondenze un po’ in tutta la nostra penisola. E, sovente, anche altrove. Al di là di questi confini che, con buona pace di ogni sciovinismo e dei dettati dell’ONU (o di altri enti inutili) sulla immutabile integrità territoriale degli attuali stati, nel tempo sono mutati spesso. E molto. Mentre le tradizioni popolari, anche quelle, in apparenza, meno importanti, perdurano nel tempo. E dei confini, e dei trattati, sostanzialmente se ne infischiano. Per dirla con Rett Butler…
È il caso dei galani. Sottile sfoglia di pasta fritta. Dolce. Che trova corrispondenza in molti luoghi. A Roma, e in genere nell’Italia centrale , sono le frappe. In Toscana i cenci. Bugie in Piemonte E, per altro, anche nel Veneto in generale, Crostoli… Ma in Provenza si chiamano oreillettes, in Croazia kròstoli, in Spagna orejas…e potrei continuare…
Perché tutti sembra derivino da un dolce che compariva sulle tavole di Roma antica in occasione dei Saturnalia. Le feste che, in dicembre, precedevano il Solstizio e che presentavano caratteristiche in qualche modo simili al nostro Carnevale. Il gusto per il mascherarsi. I pranzi e le libagioni ben più abbondanti e sontuosi dell’usuale. Ed anche elementi orgiastici… Sui quali non mi soffermo, altrimenti il Direttore dice che sono fissato, che ogni occasione è buona, etc…
Comunque si chiamavano “frictilia”, venivano fritte nel grasso animale. E dolcificate, ovviamente, col miele. Perché i romani antichi erano ghiotti del dolce, ma non conoscevano lo zucchero.
Oggi, per altro è invalso sempre più l’uso di non friggere più questi dolci, e di presentarne una versione cotta al forno. In ossequio alla vulgata salutista dominante. Una barbarie. Ché così perdono quella leggerezza e levità data dalla, spiente, frittura, specie nello strutto. E diventano in sostanza dei biscottoni sciapi e pesanti.
Per altro i galani veneziani si distinguono da tutti i loro fratelli e cugini, proprio per essere particolarmente sottili. Quasi intangibili. Come un velo, lieve, che si scioglie in bocca. Di qui il nome, che deriva dalla “gala”, il nastro con cui le ragazze erano use adornare il collo. Non per coprirlo, non era una sciarpa, ma, appunto, un velo sottile, colorato, scintillante di lustrini, che attirava lo sguardo. Un elemento di seduzione. Perché il collo è particolare importante della bellezza femminile.
Le frìtole sono invece solo veneziane. Certo, paste lievitate e fritte si trovano anche altrove. Ma la frìtola è qualcosa di unico. E di inconfondibile. Ne parla anche Goldoni, in uno dei suoi capolavori. Il Campiello. Una commedia che l’autore stesso definisce, nelle Memorie, di trama esile. Quasi inconsistente. Ma che, come poche altre, riesce a darci lo spaccato di un mondo, il gioco dei sentimenti, i caratteri dei personaggi. Tutti raccolti in un microcosmo che è un Campiello veneziano, dove si intrecciano vite, si tessono piccole trame ed inganni. Si narrano amori. Sempre con la, sorridente, leggerezza propria del Goldoni, che guarda all’esistenza senza tanti drammi. Senza l’accredine amara di un Molière. Come se fosse un gioco, che va vissuto senza, però, prendersi troppo sul serio.
E tra le protagoniste – Goldoni amava Commedie al femminile, perché amava le donne e, com’è ben noto, le attrici – vi è Orsola. La frittolera. Mestiere antico, che oggi è andato perduto come tanti altri. Purtroppo.
Tuttavia a Venezia le frìtole si mangiano ancora nel giorni del, tradizionalmente lungo, Carnevale. E, sopratutto, nella sua settimana conclusiva. Vi è chi ancora ne conosce il segreto e l’arte. Pasticceri, certo. Ma anche eredi di una lunga tradizione familiare, che magari ne postano l’immagine su fb. Un sontuoso vassoio di questi dolci ricchi di uvetta e pinoli, e coperti di zucchero a velo. Roba da far venire l’acquolina in bocca, come si suol dire. E anche un certo struggimento a chi, come me, vive dove delle Frìtole neppure si ha la minima nozione. E non le può assaporare da molto, troppo tempo…
Quest’anno, però, la malinconia è meno acuta. Sono stato, pur per breve momento, in quella che è pur sempre la mia città. Meglio ancora, la mia casa. E un paio di frìtole me le sono concesse.
Assaporandole – un sapore /emozione per descrivere il quale ci vorrebbe la penna di Gadda – ho sentito il flusso della memoria avvolgermi. E, per un momento, sono stato preso da quel senso di leggerezza, spensierata, che è nelle commedie di Goldoni.