Vi è un villaggio, in Giappone. Si chiama Narai Juku. Nella prefettura di Nagano,. Un paese di montagna, sulla strada che conduceva da Tokyo a Kyoto. E che conobbe una straordinaria fioritura nel periodo Edo, il governo degli Shogun Tokugawa, iniziato nel 1603 con il trionfo di Ieiasu nella battaglia di Sekigahara, e conclusosi nel 1868, con la cosiddetta Restaurazione Meiji. Quando l’imperatore, Meiji il giovane, esautorò l’ultimo Shogun, e diede avvio alla modernizzazione del Giappone… Ma non è di questo che voglio parlare. Non della storia del Giappone, della disperata resistenza degli ultimi samurai, del Commodoro statunitense Perry che forzò il Giappone ad aprirsi ai commerci con l’uso, decisamente liberale, della flotta da guerra… Storie che, da sempre mi affascinano, ma che non sono il tema di questo articoletto.

Che è, invece, incentrato sul tempo. O meglio, sul restare fuori dal tempo. Sul continuare a vivere in una dimensione sospesa. Immobile. Come se gli anni, i secoli non scorressero…
Perché questo è Narai-Juku. Un paese fuori dal tempo. Mantenuto intatto esattamente come era alla fine del periodo Edo… le strade, gli edifici, i locali, le taverne, le botteghe artigiane.Tutto come era nel 1868.
Certo… Un museo a cielo aperto. Una sorta di San Marino o, peggio, di Disneyland nipponica…. Perché a questo deve ormai essere ridotto. Ad attrazione per turisti in cerca del pittoresco dell’antico Giappone. Inutile farsi illusioni. Però…
Però provate a pensare… Vivere in un paese, un villaggio, ove il tempo si è fermato. Ove tutto continua ad essere come due secoli fa. Come se non ci fossero state due Guerre Mondiali, le atomiche su Hiroshima e Nagasaki…
Come se a Edo, l’antica Tokyo, lo Shogun sedesse ancora accosciato in una sala del castello, e i suoi samurai montassero la guardia sugli spalti… Il sogno di Mishima. La sua visione. L’ultima prima del seppuku…
Fermare il tempo, restare in un’altra epoca. Come in quel vecchio, poetico film. “Brigadoon”. Con Gene Kelly e una favolosa Cyd Charisse. E come in tanti miti. In tante tradizioni, anche remote fra loro . A dimostrazione che in fondo tutti gli uomini, tutte le culture vorrebbero potersi sottrarre all’erosione dei secoli.

Fermare il tempo…
Non in qualsiasi momento, però. Certo nessuno vorrebbe restare per sempre in un’epoca come questa. Nessuno ancora dotato di ragione. Quindi non i pigri apologeti del reddito di cittadinanza, dell’inudile DAD, dello smarthwarking… Non le pupe vedove di Conte. E non gli speculatori che ci guadagnano. Ma gli altri no… di sicuro.
Personalmente non credo nella Storia. Non in quella con la maiuscola, nelle magnifiche e ineluttabili sorti progressive. Che è invenzione di Hegel. E di Marx. Per altro ampiamente travisati…
Credo, come i greci e i latini, nelle storie. Rigorosamente al plurale. E le storie non sono solo plurali, quasi infinite… sono anche, forse soprattutto, magiche. Perché quando le racconti, senza rendertene conto evochi immagini, uomini, voci che vengono dal passato. O meglio che si celano dietro l’impermanenza del nostro tempo ordinario. E che possono essere come delle oasi, fresche di acque e ricche di frutta, nel deserto. Quando le si racconta, queste storie, è come se si aprisse una porta segreta. Che ci dà accesso in altri luoghi. In altri tempi. Come il Sottoportego di Corte Sconta di Hugo Pratt…

Non ce ne rendiamo conto, però. E pensiamo che le parole con cui le narriamo siano leggere. Portate via dal vento. Effimere. E così restiamo imprigionati in questo “reo tempo” per dirla col Foscolo. Tempo che fugge in un grigiore monotono. E così non riusciamo a trovare Brigadoon. E non riusciamo a vedere altro che l’apparenza di un luogo come Narai-Juku. Dove davvero antichi bushi incedono ancora orgogliosi per le vie. E le gheishe si coprono il volto con ventagli di carta di riso. Nella luce soffusa di rosse lanterne…