Era il 1974. E Giorgio Gaber descriveva la diffusione della peste a Milano. Una peste politica, la sua (il bacillo ha la forma di un manganello).
Ma rileggendo il suo testo appaiono impressionanti analogie con la situazione attuale
Un bacillo che saltella
che si muove un po’ curioso
un batterio negativo
un bacillo contagioso…
La gente ne parla a bassa voce
la notizia si diffonde piano
per tutta Milano.
La gente ha paura
comincia a diffidare
si chiude nelle case
Uno scoppio di terrore
un urlo disumano
la peste a Milano.
A Milano c’è gente che muore
la notizia fa un certo scalpore
anche in provincia si muore
la peste si diffonde adagio
poi cresce e si parla di contagio
C’è il sospetto che sia un focolaio
che parte dal centro e si muove a raggiera
dilaga dovunque la peste nera….
Morti dappertutto
che vengono ammassati come animali..
Stesso anno e sempre Gaber. Con un invito a non rinchiudersi nelle case, a non rinunciare ai rapporti sociali, ad incontrare la gente, a confrontarsi, a discutere.
Nelle case
non c’è niente di buono
appena una porta si chiude
dietro un uomo.
Quell’uomo è pesante
e passa di moda sul posto
incomincia a marcire
a puzzare molto presto.
Nelle case
non c’è niente di buono
c’è tutto che puzza di chiuso e di cesso
si fa il bagno ci si lava i denti
ma puzziamo lo stesso…
C’è solo la strada
su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
le case dove noi ci nascondiamo
bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
C’è solo la strada su cui puoi contare
la strada è l’unica salvezza
c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada e nella piazza.
Perché il giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti
e anche nelle case più spaziose
non c’è spazio per verifiche e confronti…
Da uomo libero, Giorgio Gaber è difficilmente etichettabile politicamente. Tra anarchia e sinistra, con una passione celinianaed un percorso che lo ha portato ad abbandonare i compagni, polli d’allevamento, modaioli, incapaci, fastidiosamente ed inutilmente retorici. Ma comunque coscienza critica di una generazione che ha sognato la rivoluzione per poi trasformarsi rapidamente in reduci. Una generazione che ha allevato non polli, ma conigli. Terrorizzati dal bacillo, terrorizzati all’idea di andare per strada. Indifferenti a “verifiche e confronti”, indifferenti alla propria puzza, che è quella della paura. Una puzza da sardina andata a male.
Si vede da lontano
che siete privi di ideali
con quello spreco di energia
dei giovani normali
E voi che pretendete
che tutto vi sia dovuto
con la scusa infantile
che nessuno vi ha mai capito
Siete così velleitari
come artisti improvvisati
con quella finta libertà
dei giovani viziati…
Disponibili a tutto
all’occorrenza anche disonesti
con tutta la meschinità
dei giovani arrivisti.
E voi così randagi
sempre sull’orlo del suicidio
covate ben racchiusa dentro il vostro petto
un’implosione d’odio
L’eroico vittimismo
da barboni finti e un po’ frustrati
e col cervello in avaria
dei giovani scoppiati.