Il maggio francese del ‘68? Nasce a Fiume nel settembre del 1919. E ben prima di Daniel Cohn-Bendit c’era Gabriele d’Annunzio. È la tesi, provocatoria ma solo in parte di Pier Luigi Vercesi nel suo interessante libro “Fiume. L’avventura che cambiò l’Italia”, edito da Neri Pozza.
Tesi provocatoria poiché, nell’immaginario collettivo, l’impresa fiumana apre la strada per la Marcia su Roma dell’ottobre del 1922.
Con il fil rouge, o piuttosto noir, che unisce d’Annunzio a Mussolini, i legionari fiumani alle camicie nere. Dunque tutto molto lontano da un maggio francese egemonizzato dalla sinistra estrema.
Eppure Vercesi ha molte ragioni che spiazzano chi si accontenta delle verità rivelate. A partire dal clima che si respirò a Fiume durante il breve (poco più di un anno) periodo dannunziano. Sesso libero, tanto per cominciare. E non soltanto eterosessuale perché, mentre in numerosi Paesi europei si finiva in carcere per omosessualità, Fiume non poneva ostacoli di sorta ad amori tra maschi o tra femmine. Ma anche sul fronte della droga la tolleranza era massima.
Sul fronte economico la Carta del Carnaro rappresenta un esempio di legislazione del lavoro avanzatissimo non solo per l’epoca, ma anche in rapporto alla situazione attuale. I lavoratori al primo posto, non gli speculatori. Non a caso la Reggenza di Fiume fu il primo governo a riconoscere la Russia della rivoluzione bolscevica di Lenin. Ottenendo un analogo riconoscimento.
Vercesi, però, va oltre. E a fronte dei sogni libertari del 68 trasformati in grigio controllo del potere, l’autore sottolinea come a Fiume si fosse davvero creata una classe dirigente di poeti, artisti, pittori, musicisti, filosofi. Era davvero un esempio, l’unico, di immaginazione al potere.
Sotto questo aspetto la vera rivoluzione era quella di Fiume mentre Parigi ha visto soltanto una ribellione che ha portato ad una sostituzione della classe dirigente per inevitabili ragioni anagrafiche. Ma i nuovi dirigenti, usciti dalle piazze e dai cortei colorati, si sono immediatamente ingrigiti appena varcata la porta della stanza dei bottoni.
I legionari fiumani, al contrario, in buona parte non sono riusciti ad adattarsi alla vita normale, banale, routinaria.
Lo stesso Vate si era ritirato al Vittoriale, a ripensare alla sua sconfitta. Impolitico e, dunque, senza grandi speranze di poter guidare la rivoluzione fascista al posto di un animale politico come Mussolini. La poesia contro la concretezza, il sogno contro il compromesso per conquistare il governo. Non poteva avere successo, d’Annunzio.
Ma il sogno fiumano resta davvero un esempio unico di utopia che si realizza, di governo degli ottimati, di una società colorata che, mezzo secolo prima del 68, aveva messo in pratica, in anticipo, il motto “vietato vietare” e anche la frase di Camus, “sii realista, chiedi l’impossibile”.