Ultimo giorno di scuola. Un tempo si faceva festa. E la famosa, agognata, lectio brevis. Ovvero sì tagliava di netto l’orario. Tre ore massimo, per salutarsi. E poi…liberi tutti! Cominciavano le vacanze estive…
Tempi lontani, ormai. C’è stato il Covid. Le regole sul distanziamento. Le mascherine ancora imposte per sei ore. Nonostante i 33 gradi all’ombra…
Oddio, io in classe mai l’ho tenuta in questi anni. Ed è per questo che alcune colleghe, che girano tutt’ora bardate come palombari ciclisti, mi guardano in cagnesco. E mi salutano a stento. Quando pure mi salutano…
E anche i ragazzi, con me in classe, se la sono sempre tolta. Con le solite eccezioni, naturalmente. Perché vi sono diciottenni all’anagrafe che, di testa, hanno già più di ottant’anni. Con vistosi segni di Alzheimer…
Comunque, qualche Preside, che si ricorda di essere tale e non un burocrate/kapò di regime, la lectio brevis l’ha concessa. E anche le prime ore di festa. In cortile possibilmente. Come a scuola di mio figlio. Che è tornato a casa tutto allegro e, come mi ha detto, “fracico”, perché hanno giocato con le pistole ad acqua.
Breve nota su questo “fracico”. Ebbene sì…mi sta diventando proprio un coatto…
Ma lui, come dicevo, ha una Preside. Razza in via d’estinzione.
Io, in una delle scuole più grandi di Roma, ho una Dirigente. La nuova specie. Forgiata appositamente dai concorsi indetti dai luminari del MIUR. Il Ministero della Istruzione, Università e Ricerca. Che a leggerlo per intero, sembra una burla. E invece no. Si chiama proprio così.
Comunque, per questa nuova specie di strani mammiferi, la lectio brevis non si può fare. Perché gli insegnanti farebbero una o due ore in meno di servizio. E questo potrebbe configurare danno erariale. Cosa gravissima. Perché l’erario deve restare integro. Allo scopo di poter continuare a impegnare i fondi per acquistare banchi a rotelle o promuovere corsi di aggiornamento sulla parità di genere nel linguaggio… Tipo scrivere tutti i nomi con la ə. Per fare felice l’anonima Boldrini & co….
Comunque, la nostra, per essere più sicura del regolare andamento della giornata, e più zelante del re (ma quale re, siamo in repubblica, purtroppo. Mi diceva il mio antico prof di greco, monarchico convinto…) ha pure vietato l’accesso all’ampio cortile interno. Tutti chiusi in aula. In un edificio di cemento armato. Dove i 33/35 di temperatura esterna salgono in modo esponenziale. Anche perché, come ho già avuto occasione di raccontare, vi sono classi che finiscono ben oltre le tre di pomeriggio…
Una temperatura perfetta per un girarrosto. Non per l’ultimo giorno di scuola.. E così…
E così…i nostri studenti hanno dato origine ad una sarabanda tale da fare impallidire i baccanali del basso impero. Con la differenza che a scorrere a fiumi non era il vino, sacra bevanda dionisiaca, bensì l’acqua. Comunissima acqua di rubinetto lanciata da bottiglie, bicchieri, secchi ed altri, improvvisati, recipienti.
In sostanza…gavettoni.
Già, proprio i gavettoni. Un tempo, strumento principe per svezzare le reclute appena arrivate in caserma. Fresche di C. A. R.
Non l’unico, certo. Che c’erano anche i Cucù. In mutandoni tattici, accucciato sopra un armadietto, dovevi recitare una poesia per i “nonni”. Il juke box, quando nell’armadietto finivi rinchiuso, e dovevi cantare una canzone a richiesta. Un incubo per i claustrofobici. E per i ciccioni. Poi le “pompate”, flessioni sulle mani…ecc…ecc..
Ma il gavettone aveva un ruolo d’onore. Indiscusso.
A quei tempi, però, le reclute erano solo maschi.
Qui invece le ragazze appaiono persino più scatenate dei loro compagni. E, visto l’abbigliamento estivo, il corridoio diventa una sorta di passerella dell’edizione 2022 di “Miss Maglietta Bagnata”.
Alcune professoresse si aggirano con aria desolata in mezzo a tanta devastazione.
La mia collega fricchettona, da sempre anarchica e libertaria, mi dice con voce disperata:
“Non ce la faccio più… E mi tocca restare qui fino a oltre le tre…” ha i capelli scarmigliati. Lo sguardo vuoto. Sembra una naufraga della zattera della Medusa…
Intanto qualcuno ha cominciato a lanciare anche farina. Che si impasta per terra con l’acqua. I bidelli sono svaniti. Probabilmente emigrati in luoghi più tranquilli. Tipo Mariupol.
Mi viene il fugace pensiero che con acqua che ruscella ovunque e farina sparsa a sacchi, la scena deve assomigliare vagamente alla manzoniana rivolta del pane… Che ci volete fare? Quarant’anni in cattedra (per modo di dire, perché non sto praticamente mai seduto) e queste sono le mie, naturali, associazioni mentali. Patologico, ormai.
Improvvisamente, mi trovo davanti il Boro. Mi sarei aspettato di vederlo emergere dal centro della mischia. Bagnato fracico, indomito… Con un secchio in mano…
E invece, no. Me lo trovo davanti asciutto. E persino pettinato. Con un’aria seria da mettere paura..
“Scusi prof…potrei parlarle un attimo. In confidenza…” usa un italiano corretto. Persino il condizionale. La cosa deve essere proprio grave.
Entro in un’aula vuota. Chiudo la porta.
Dimmi…
E lui vuota il sacco. Per mezz’ora. Ma questa è un’altra storia. E una storia che penso sia più corretto non raccontare..
Quando finisce, resto per un po’ solo nell’aula. E mi accendo anche una sigaretta… Lo so, lo so…è contro le regole…ma, sinceramente, chissenefrega?
Poi mi avvio per uscire, finalmente.
Apro la porta dell’aula. E mi arriva una secchiata d’acqua in pieno viso
“Oddio, scusi prof…Non sapevo fosse lei…”
Butto per terra ciò che resta della sigaretta. E una volta ancora, esco dall’aula…