Macchè patrioti serbo-bosniaci: utili idioti! Questo e non altro erano i dieci congiurati dell’attentato di Sarajevo, di cui ieri è caduto l’anniversario: marionette manovrate dall’alto. La cosa non va detta, perché metterebbe in crisi la vulgata, l’ennesima vulgata, che racconta di una guerra fortemente voluta dalla Germania e dalla succedanea Austria-Ungheria, per non meglio precisati scopi politici ed economici.
Invece, le cose stanno proprio così, e basterebbe esaminare con un minimo di buon senso i fatti: non serve nemmeno uno storico come me, basta una persona dotata di presupposti logici normali. Cominciamo dagli attentatori: facevano parte di un’associazione a metà tra il clandestino e il rapsodico, dall’evocativo nome mazziniano di “Mlada Bosna”, ovvero “Giovane Bosnia”. Sognatori, pasticcioni e un tantino fessi, vennero avvicinati ed affiliati da una società segreta di ben diversa estrazione, la Mano Nera: in serbo Crna Ruka.
Nome poco significativo che suonava di patocco, dato che, all’epoca, si chiamava “Mano Nera” qualunque associazione criminale, Mafia compresa. E, infatti, la Mano Nera aveva anche un nome burocratico e ufficiale, che era contemporaneamente il programma del gruppo: ujedinjenje ili smrt, unificazione o morte! Dunque, i componenti della Giovane Bosnia entrarono in blocco a far parte di questa Mano Nera. Solo che, in realtà, dietro il misterioso ed evocativo nome e la roboante impresa si nascondeva, semplicemente, il Servizio Segreto serbo: capo della Mano Nera era il colonnello Dragutin Dimitrijević, più noto come “Apis”, già protagonista, col grado di capitano, dell’eccidio di Belgrado del 1903, che aveva posto sul trono re Petar Karađorđević.
Fu lui a dare ai congiurati le pistole e le bombe con cui portare a termine l’attentato e il cianuro con cui uccidersi, in caso di cattura (se avessero fatto il suo nome, immaginatevi il casino!). E l’obbiettivo di Apis, del re Petar e dei vertici politico-militari serbi era palese: eliminare la minaccia di una riforma trialista all’interno della duplice monarchia.
Avete presente le Brigate Rosse, che uccidevano i riformisti di sinistra anziché i fascisti? Questo avveniva perché i riformisti sono la peggiore minaccia per un rivoluzionario: se vengono a mancare i presupposti dello scontento popolare, nessuno scende in piazza a fare la rivoluzione. Ecco, per il Trialismo sarebbe stato lo stesso: concedere anche agli Slavi l’Ausgleich, ovvero la parificazione già concessa all’Ungheria nel 1867 e, quindi, trasformare l’AU in un regno federale a tre, avrebbe azzerato le possibilità serbe di contare su di una sollevazione degli Slavi asburgici, che chiedevano autonomia al pari dei Magiari, per creare la Grande Serbia, ossia il regno di Jugoslavia. E il capo dei trialisti era proprio Franz Ferdinand.
Dunque, la faccio breve: i Serbi organizzarono l’attentato, i congiurati-marionetta abboccarono, Franz Ferdinand si recò a Sarajevo, la sicurezza era pari a zero e successe il patatrac. Guglielmo II scrisse a Franz Josef il celebre “assegno in bianco”, per cui è stata postulata la precisa volontà tedesca di scatenare la guerra mondiale. Interpretazione da fessi: nessuno immaginava cosa fosse una guerra mondiale e, soprattutto, nessuno la voleva. Il Kaiser pensava, evidentemente, a una terza guerra balcanica, che ridimensionasse la Serbia e rimettesse sul trono gli Obrenović, assai più concilianti dei Karađorđević. Ma c’erano le alleanze, le intese, il diavolo a quattro: et voila. E dei dieci fessi non se ne parlò più, tranne che nel caso di Gavrilo Princip, il pistolero per caso. Probabilmente, il più fesso di tutti.