La domanda sorge spontanea. Lo Stato italiano garantirà un finanziamento da 6,3 miliardi al gruppo Fca, replicando forse un vecchio copione che ricorda la Fiat del passato?
In realtà in sostanza Fca otterrà dallo Stato, che ne garantisce l’80% con Sace (società di Cassa depositi e prestiti), un prestito da 6,3 miliardi erogato da Banca Intesa. I soldi dovranno essere rimborsati entro i tre anni, con il vincolo di andare sui conti correnti dei fornitori di Fca e con il vincolo che dovranno essere spesi rigorosamente in Italia per dare liquidità a stipendi e commesse. Dovrà essere un contributo dato alla luce del sole senza zone d’ombra.
Tutto nasce dalla lecita preoccupazione del ministro dell’Economia Gualtieri, per la sede legale di Fca in Olanda e fiscale in Inghilterra. Tra poco tempo ci sarà la fusione con il gruppo Peugeot s.a. nel quale Jhon Elkann sarà il presidente e Carlos Tavares il Ceo (Chief executive Officer) ossia l’Amministratore delegato. La nuova società, quarto produttore mondiale di auto, avrà la sede in Olanda. Preoccupazioni che includono lo spostamento della sede fiscale a Londra per risparmiare su tasse e dividendi ai soci tra i quali Exor, la holding di cui è a capo la famiglia Agnelli.
Non c’è nulla di illegale nel prestito e nell’operazione questo è indubbio. Ma il gruppo Fca, con sede in Olanda, ha sufficienti risorse per immettere soldi direttamente in Fca Italia, con sufficienti garanzie per ottenere da sola il prestito da parte di Banca Intesa. La ragione probabile per cui non lo faccia è la fusione con il gruppo Peugeot, con cui sta preparando un maxi dividendo di 5 miliardi di euro, per gli azionisti. È probabile che il gruppo Fca non voglia impegnare le proprie risorse, perché ne ha bisogno per distribuire questo dividendo, di cui alla fine non pagherà le tasse in Italia. La Fiat per tutta la durata del prestito, secondo alcuni esponenti politici, dovrebbe impegnarsi a non distribuire dividendi. Sotto la super visione dello Stato che verifichi che gli obblighi di investimento vengano rispettati in Italia.
Le parole del ministro Gualtieri un po’ ci rassicurano: “Abbiamo detto a Fiat che con il prestito ci devono pagare investimenti in Italia. È un prestito non un regalo. Abbiamo chiesto a Fca impegni aggiuntivi rispetto a quelli esistenti tra cui rafforzare e confermare tutti gli investimenti in Italia. Abbiamo anche detto no a delocalizzazioni. La garanzia dello Stato è legata a queste condizioni. Anche perché stiamo parlando di una grande multinazionale globale che sta negli Stati Uniti e ora sta negoziando una fusione con Psa in Francia e che noi abbiamo il dovere, come governo di tenere ancorata in Italia”.
L’impegno appare chiaro: non delocalizzare la produzione per creare buoni livelli occupazionali e rendere conto dei futuri investimenti in virtù di questo prestito.
Intanto la tensione sale anche all’interno della redazione di Repubblica, quotidiano controllato da Exor, che come abbiamo detto prima è la holding proprietaria anche della casa automobilistica. Il direttore Molinari ha chiesto al comitato di redazione di non pubblicare un comunicato sulla questione dei 6,3 miliardi garantiti dallo Stato alla casa automobilistica. Ma i giornalisti, riuniti in assemblea, a seguito dei servizi pubblicati sul caso, ribadiscono di volere un’informazione libera anche quando si trattano argomenti che incrociano gli interessi economici dell’azionista.
Le polemiche sono nate domenica 17 maggio, quando il neo direttore di Repubblica ha pubblicato degli interventi a difesa del prestito garantito dallo Stato alla multinazionale, col sottofondo di un comitato di redazione che protestava. Mentre riecheggia la frase dello stesso fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, nel suo primo editoriale del 1976 in cui scrisse: “Repubblica è un giornale indipendente ma non neutrale”. Appare lecito per la redazione pretendere che sia un giornale libero da qualsiasi influenza per garantire un’informazione di qualità.
La cacciata di Carlo Verdelli, decisa dal consiglio di amministrazione Gedi, non è piaciuta ai giornalisti di Repubblica. Si riscontra una mutazione sociologica e politica, il giornale partito non ha più partito. Exor ha già fatto intuire che punterà sulla componente digitale del giornale e che attuerà una pesante ristrutturazione. Jhon Elkann ha in mente un importante gruppo editoriale che vorrebbe unire Italia ed estero (suo è anche l’Economist acquistato con 403 milioni di euro). Non possiamo negare che Elkann, membro di una grande famiglia del capitalismo italiano, sembra volere costruire una vera multinazionale dell’informazione.
C’è chi parla di concentrazione di mezzi di informazione, in riferimento a Stampa e Repubblica, con un conflitto di interessi epidemico. Nel caso del prestito garantito di Fca non ci sono solo coinvolgimenti politici ed economici, ma anche da parte dei media. Questa discussione pubblica e democratica, non riguarda solo Fca e il rapporto tra Stato e imprese, ma un conflitto di interessi che ricorda il buon Silvio Berlusconi. Ci si chiede, come opinione pubblica, quale sia la reale indipendenza dei mezzi di informazione del gruppo Gedi.
Tanti i commenti via Facebook dei presidenti delle regioni, il più rilevante arriva dal presidente della Toscana, Enrico Rossi: “Il conflitto di interessi non riguarda solo Berlusconi. La famiglia Agnelli è proprietaria del più grande gruppo editoriale italiano. Il gruppo Gedi è proprietario de La Stampa, Repubblica, il Secolo XIX, L’Espresso, giornali locali e radio. È un tema cruciale per la libertà e la democrazia”.
Ci auguriamo che i rapporti interni della redazione di Repubblica e la nuova gestione riescano a trovare sintonia con un intero comparto giornalistico preoccupato non solo del futuro della testata e del gruppo, ma soprattuto dell’occupazione. Ricordiamo che Repubblica è in contratto di solidarietà fino al febbraio del 2021.
È normale che ci siano fusioni e incroci in campo editoriale ma una proprietà che include settimanali, riviste, quotidiani, radio e strutture digitali operanti in ambito internazionale, in orbita con una grande industria, qualche perplessità in materia di conflitti d’interesse la pone. Un accentramento di potere mediatico del genere non si era mai visto nel nostro paese. I giornali sono in crisi ma ancora influenzano il dibattito pubblico. Questo accade mentre economisti e liberisti propongono aiuti senza condizioni con il prestito consentito dal decreto Liquidità.