Mi capitano sott’occhio dei versi di Rilke. Una, breve, lirica che non conoscevo. Gennaio. Un poesia su questo mese. Merce rara. Perchè liriche sul Natale, sulla Primavera, sui mesi estivi …Ve ne sono a staja….ma su Gennaio? Sinceramente non ne ricordo.
È un mese grigio, freddo…interminabile. Le luci delle feste si sono spente. E non resta che attendere.
Attendere di percepire l’allungarsi del giorno. Un sole che torni a scaldare. Poter tornare ad uscire, senza doversi intabarrare.
Tocca stare, per lo più, rinserrati in casa. Come i nostri antenati contadini e pastori. Che, in antico, neppure avevano questo mese sui loro calendari. Non si poteva fare nulla. Solo attendere che passasse. E sperare di sopravvivere.
“…il candido giorno diventa eterno, infinito” scrive Rilke. E coglie gli elementi, due, essenziali di questo mese. Il candore, come (non) colore dominante. Assoluto. Appena screziato dalle ultime faville di un ciocco, che finisce di ardere nel camino. E la sensazione che il tempo rallenti. Quasi…si fermi.
L’atmosfera è decisamente…nordica. Rilke era di Praga. Un boemo di lingua tedesca. Come Kafka. E i praghesi, aveva scritto Goethe, sono il popolo più triste d’Europa.
Malinconici. Come il mese di Gennaio.
Eppure, o forse proprio per questo, ne riesce a cogliere la nascosta bellezza.
Una bellezza, forse, aspra e crudele. Certamente melanconica. Una bellezza, un fascino, che confina con la paura. Tutto questo biancore lucente….o il grigiore luminescente della nebbia. Ho, spesso, pensato che debba essere questo il colore della morte. Non il nero. Come in alcune culture orientali, dove è il bianco il colore del lutto.
Forse una suggestione dell’Averno dell’Odissea. Forse il ricordo di una scena di “Armacord”, per me il vero capolavoro di Fellini. Quando il nonno, avvolto nel tabarro, si trova a vagare in un mare di nebbia fitta. E si chiede, stranito, se sia così la morte. Aggiungendo: non è mica una bella cosa, però…
In Gennaio tutto, intorno a noi, sembra infatti statico. La natura appare paralizzata, morta. In città era meno palese. Laggiù, tutto è artificiale. Falsato. Qui, dove sono, circondato da boschi e montagne, è un’evidenza che balza, immediatamente, agli occhi. E il freddo, che si fa di giorno in giorno più pungente, ti spinge a stare in casa. O in locali al chiuso. Per strada poche persone, che si affrettano. D’altra parte, chiusi ormai i Mercatini di Natale, vi sono ben poche ragioni per sostare all’aperto. Anzi, nessuna.
Una certa tristezza, a tratti, mi afferra. E mi stringe il cuore. Mentre me ne sto qui, a fumare la pipa. Guardando il cielo colore del ferro. E il freddo sole che, a tratti, traspare. Una sensazione…strana. Perchè tutto sembra fermo. E, appunto, morto. Eppure è come se avvertissi un fremito di vita nascosto. Qualcosa che urge dietro a questo…velame. Vita, direi. Una vita più fervida, e intensa, di quella che ci circonda in estate. Che è vita certo, ma tutta esteriore. E, se ci penso bene, prossima al declino autunnale. Quindi…alla morte.
Mentre qui, nel cuore gelidilo di gennaio, la vita è nascosta. Quasi impercettibile. Però è vita che si prepara. A sbocciare.

“Respirano lievi gli altissimi abeti /racchiusi nel manto di neve…”
Ancora Rilke. Coglie, dove gli altri vedono solo gelo e morte, il respiro della natura. Un respiro lieve. Quasi impercettibile. Che, però, è intenso. Profondo. Rivela, come in una fiaba, regni sotterranei incantati. Dove si prepara il mistero della rinascita primaverile. E tutto, allora, la neve, il gelo, il vento freddo, il cielo grigio…proprio tutto si fa bellezza