Individuare e descrivere la crisi a livello globale, è questo uno dei cardini del libro di Salvatore Santangelo che torna in libreria con un nuovo volume “Geopandemia. Decifrare e rappresentare il caos” edito da Castelvecchi nella collana Esc.
Santangelo, è un giornalista e docente universitario. Esperto di politica internazionale e di storia del Novecento, studia la dimensione mitica nell’attualità occupandosi di “geosofia”, e tra le sue più recenti pubblicazioni si segnalano GeRussia (2016) e Babel (2018). Oggi l’autore rappresenta uno dei più brillanti analisti strategici italiani, interprete eccellente della vicenda estenuante del virus venuto dalla Cina nel contesto di una “guerra civile mondiale” a bassa intensità. Appare interessante l’analisi delle dinamiche innescate dal coronavirus nella politica internazionale e nell’evoluzione della globalizzazione e delle lezioni che la storia e le culture del passato possono dare al presente per superare questa fase di crisi.
Lo scrittore parte dalla convinzione che gli effetti della pandemia e l’emergenza sanitaria, genereranno una recessione globale e una nuova definizione dei rapporti di forza a livello mondiale. Per la prima volta si registra una sincronizzazione di eventi in tutto il mondo. Una globalizzazione che abbraccia quarant’anni di storia.
La rottura del blocco ideologico e geopolitico del mondo comunista e la svolta economica impressa da Deng Xiaoping hanno aperto la strada alla globalizzazione, che – in particolare – ha trasformato la Cina da Paese uscito a pezzi dalla Rivoluzione Culturale nel nuovo protagonista (revisionista) dell’ordine mondiale. La globalizzazione è stata plasmata dai capitali e dall’ideologia statunitense e dalla forza lavoro cinese sulla base di un’alleanza pagata comunque a duro prezzo dagli Usa, che, nel medio periodo, hanno sacrificato – sull’altare della vittoria nella Guerra Fredda – la tenuta del proprio ceto medio e, a causa delle delocalizzazioni, di segmenti importanti della propria base industriale.
Secondo lo scrittore, in questo contesto, il Covid accelera i processi: basti pensare alla transizione verso il digitale, ai nuovi modelli di produzione, commercio, interazione e controllo sociale. La Cina è riuscita a organizzare meglio la lotta contro il virus mentre i Paesi liberali, guidati da sovranisti come Trump, Bolsonaro e Johnson sono stati travolti dalla pandemia e, soprattutto, dalla narrazione sulla loro presunta incapacità di gestirla.
Lo shock da COVID 19 avrà conseguenze a lungo termine per le imprese, l’economia, la politica interna e le relazioni internazionali. L’unica soluzione la troverà chi avrà il controllo delle tecnologie con cui si stanno scrivendo e definendo i nuovi paradigmi e otterrà un determinante vantaggio politico, economico e la supremazia narrativa.
Geopandemia vuole indicarci le traiettorie per superare questa crisi. Per affrontare al meglio la pandemia sarà necessario un miglioramento dello Stato in campo economico e una crescita delle sue articolazioni e degli apparati burocratici. Per far fronte a questo periodo non soccomberanno i Paesi che investiranno sulla qualità del capitale umano. Un valore importante in questo processo lo avranno le biotecnologie, i calcolatori quantistici, l’intelligenza artificiale e la capacità di collezionare e analizzare dosi sempre più importanti di dati.
Un ruolo fondamentale sarà rappresentato dalla distribuzione di un vaccino affidabile che assegnerà uno straordinario punteggio innanzitutto in termini di prestigio alla potenza o al consorzio di potenze che si attribuirà il merito. In tutto ciò l’Italia ha un ruolo centrale, ma non da protagonista, perché proprio la penisola è diventata negli scorsi mesi un “laboratorio” da dove di volta in volta russi e cinesi, poi altri hanno estratto dati utili per una strategia reattiva. Una situazione di passività che imbarazza gli italiani più consapevoli. In questo scenario spiccano globalisti e antiglobalsti.
Nello sconvolgimento generale, il virus obbliga a rimodulare nuove strategie economiche globali. Santangelo a tal proposito cita un editoriale del Financial Times: “Sono necessarie riforme radicali – che ribaltino la direzione politica prevalente delle ultime quattro decadi – che devono essere messe in agenda. I governi dovranno accettare un ruolo più attivo nell’economia. Dovranno guardare ai pubblici servizi come investimenti piuttosto che debito, e ricercare regole che rendano il mercato del lavoro meno precario”.
Appare necessario, secondo Santangelo, non puntare agli investimenti come debito ma piuttosto a un “patriottismo economico”. Investire su ricerca e formazione per non soccombere a livello globale. Il fattore tempo gioca a favore delle potenze in ascesa e complotta contro quelle in declino.
Esiste una vera e propria “geopolitica del tempo” e del controllo del suo fluire. Dettare i tempi, controllare la successione delle azioni politiche, dominando la narrazione: il tempo è fondamentale, e la possibilità di controllarlo è anche l’archetipo che guida tutte le analisi economiche più importanti.
Per fare un esempio pensiamo alla politica di Putin volta a “cristallizzare” il tempo per frenare la tendenza declinante del suo Paese. Al contrario, la strategia cinese, seguendo Sun Tzu, asseconda il tempo e, non imponendo forzature, segue il flusso della storia.
Il Covid ha un forte legame col fattore-tempo, dato che in tanti contesti pone di fronte alla realizzazione di cambiamenti strutturali che sarebbero comunque avvenuti, ma con un orizzonte temporale più lungo. Pensiamo alla già richiamata spinta alla digitalizzazione delle nostre società. Si accelera anche l’iperaccumulazione finanziaria e contemporaneamente la necessaria discesa in campo dello Stato come garante del welfare, della coesione sociale, come potere frenante contro gli eccessi, attraverso la ridistribuzione. Forse lo stesso Trump non ha compreso che la Cina può essere, su molte questioni autosufficiente, il problema è capire se il mondo può esserlo senza la Cina.