Mentre il centrosinistra torinese ha scelto Stefano Lo Russo come candidato sindaco, però aspetta chissà chi per ufficializzarlo, sul fronte opposto si rianima lo scontro tra Mino Giachino, candidato in proprio con la lista Sì Tav sì lavoro, e Paolo Damilano voluto da Salvini e sopportato (non “supportato”) da Fdi e Fi per mancanza di candidature alternative credibili. Giachino, in pratica, accusa Damilano di copiare il suo programma, ma di farlo male e solo in parte per evitare di pestare i piedi al Sistema Torino.

Una scelta inevitabile, quella dell’imprenditore del vino e dell’acqua minerale, dal momento che si è scelto come consiglieri alcuni dei responsabili del sacco di Torino perpetrato dalla gauche caviar subalpina. Così Damilano si ritrova ad incolpare esclusivamente il Movimento 5(mila) poltrone come se la crisi di Torino non fosse iniziata molto prima, grazie alle follie ed all’incapacità del Pd.
Meglio far finta di nulla, se il tuo consulente economico ha sempre fatto parte del Sistema Torino e non ha mai azzeccato una previsione che sia una. Meglio accusare i 5(mila) poltrone se il tuo consulente culturale era parte di quel Sistema che ha annichilito la cultura subalpina prostrandola al pensiero unico obbligatorio.

Non è un caso se un potenziale nuovo alleato di Damilano gli abbia chiesto di gettare a mare le zavorre in cambio di un sostegno che potrebbe rivelarsi determinante. Ma è improbabile che il candidato di Salvini possa compiere un atto di coraggio rinunciando ai nomi imposti dal Sottosistema Torino erede di chi ha affossato la città. In teoria il tempo per una doverosa autocritica ci sarebbe. Ma servono doti che, per ora, proprio non si vedono.