“Che anno è… Che giorno è…” mi continua a frullare in testa. Un tormentone, più che un refrein…
“Che anno è… Che giorno è…” l’anno lo sappiamo.. Ed oggi è il primo giorno di Marzo. Il mese in cui l’inverno trascolora nella primavera. Quando nella luce è già estate, e nell’ombra inverno profondo… Non è mia, naturalmente… troppo bella. È Charles Dickens. Ma rende perfettamente la sensazione di questa giornata. Il giaccone pesante che, d’improvviso, diventa soffocante. Te lo togli, giri un angolo… E un vento diaccio ti ferisce sino nelle ossa. Marzo pazzerello…

A Roma, nella Roma antica, era festa grande. Capodanno, secondo l’antichissimo calendario di Re Numa. E, per altro, ancora inizio dell’Anno Sacro anche dopo la riforma di Cesare. Gli Ancili, i dodici Scudi sacri a Marte venivano portati in processione per le vie della Città. E i sacerdoti, i Salii, danzavano intorno a questi. Una danza che, forse, non doveva essere molto diversa da quella delle Spade dei clan scozzesi. Danza carica di forza. Da guerrieri. Accompagnata da un canto rituale ritmato. Che ci è giunto. Ma che già Cicerone riteneva oscuro, tanto era arcaica la lingua e arcano il significato…
Uno, secondo la tradizione, era lo Scudo che Marte stesso aveva gettato sulla sua Roma per proteggerla da un nemico invisibile. Una pestilenza che flagellava la città, e metteva a rischio la sua sopravvivenza. Ma Numa era Re e Sacerdote. Amato e consigliato dalla Ninfa Egeria… pregò e praticò i sacri riti. Marte lanciò lo Scudo. E la pestilenza ebbe termine. Si faceva così, allora. E funzionava. Senza tanti supercommissari, vaccini, decreti… Senza paura, soprattutto.
Era il primo di Marzo. E Numa fissò a quella data l’inizio dell’anno.

Anche nell’uso veneziano, il primo Marzo segnava l’inizio dell’anno. More Veneto, nonostante l’introduzione del Calendario Gregoriano. La Serenissima mantenne sempre il suo legame con l’antichità romana. In memoria della sua origine. Da Bisanzio. Dall’Impero Romano d’Oriente. E ancora dalla pedemontana sino alle campagne padovane e della Marca persiste l’uso di Brusàr Febraro. O di Bather Marso. Per bruciare il mese freddo delle febbri. E cacciare l’inverno. Con un gran frastuono, che i bambini fanno, o meglio facevano, per le vie del paese. Rito arcaico, che prepara, invoca ed evoca, la Primavera. Dopo quel Febbraio che, oltre alle febbri, portava la penuria, chè nelle dispense, ormai, le provviste cominciavano a scarseggiare.
Ed è nitido nella mia memoria il ricordo di un Brusàr la Vecia di quand’ero bambino. Le faville che si alzavano nel vento ancora freddo. L’allegria generale, cui non era estraneo il vino… Una scena non dissimile, salvo che per accenti e dialetti, da quella che apre a il capolavoro di Fellini. Armacord.

Pensieri che si affastellano gli uni sugli altri. Senza un ordine preciso. Le giornate si allungano, ma ormai il tramonto è prossimo… E fa ancora freddo nell’ombra che si allunga. Il vento, però, mi porta il vago sentore dell’albicocco fiorito, là, nel giardino di fronte…torna quel motivo..
Che anno è, che giorno è…… Che vita è…
Già, che vita sarà?
1 commento
Ora che ci strappano con la forza la “nostra” -non vita-,quella in cui ci siamo rifugiati da anni,quella che abbiamo difeso con tenacia e coraggio,perché anche essa non facile, per il dolore a cui ci espone, quasi come prezzo da pagare,ben lungi da meritati guadagni/riconoscimenti che ci arrivino di tanto in tanto,per continuare il viaggio.
Ci vuole coraggio a scegliere una vita altra,da anacoreti fasulli,non degni dei grandi,ma lontani dai troppo umani.
Inetti in ogni dove.
Ma ora perseguitati persino in quella loro condizione,distolti dai loro interessi e dai loro sguardi distaccati sul mondo, perché INVASI nei loro spazi più intimi,da sempre ostinatamente difesi.Nelle gravi ostilitá si sará capaci di mantenere la luciditá del folle,la libertá dell eremita, il piccolo spazio di non vita,eletto e ritagliato in un non luogo,quando si rifiutó,nel proprio intimo,una vita che non ci apprteneva?
Il vero deserto è solo per i più grandi,che restano sempre in grado di raccontarlo.
Per ora so solo attaccarmi ai primi accennati gialli della forstizia,che mi riportano fogli sparsi,sui quali incidevo di – futuri ricordi-.
E a quelle ombre lunghe,che amo di più,perché contengono in sé tutta la luce nelle sue diverse sfumature da scoprire e che, solo così,si puó davvero conoscere e vedere.