D’accordo, ha ragione Giorgetti: in politica la riconoscenza non esiste. Però la politica non può essere neppure uno scontrino fiscale, un bilancio di entrate ed uscite. Ci dovrebbe essere almeno un briciolo di ideali o anche solo di idee. Ed invece al ministro della Lega e, soprattutto, di Sua Divinità Mario Draghi, interessano solo i conti, interessa solo il bilancino. Saluti e baci a Marine Le Pen, che aveva accolto la Lega dell’irrilevanza e l’aveva accompagnata nella sua crescita, e via verso il Ppe. Insieme a ciò che resta di Forza Italia.
La visione di Giorgetti è quella di una Lega erede della Dc ed in grado di assorbire gli avanzi forzisti, magari dopo essersi liberato delle scorie tipo Brunetta, Gelmini, Carfagna. Una scommessa che potrebbe anche funzionare. In fondo il Doge Zaia è sostanzialmente un neodemocristiano ed ha un consenso plebiscitario in Veneto. Il problema è che non tutte le Regioni sono uguali al Veneto, anche come mentalità delle popolazioni locali. E non tutti sono democristiani nell’animo.
È evidente che la Lega nel Ppe aprirebbe immense praterie a destra. Sempre che la banda della Garbatella sappia approfittarne perché, anche in questo caso, il resto d’Italia non sempre si entusiasma per la mentalità da grande raccordo anulare.
Perlomeno si farebbe un po’ di chiarezza. Solo un poco. Perché non ha un gran senso spostarsi verso il centro per poi dover comunque stringere un’alleanza a destra. D’altronde non hanno senso neppure due partiti che si fanno concorrenza sulle medesime posizioni. E poi una Lega nel Ppe vorrebbe dire ottenere uno sguardo benevolo a Bruxelles.
Ma queste sono solo tattiche. Espedienti. Giochetti. Mentre il vero problema è la sostanza. La mancanza di idee e di classe dirigente nell’intero centrodestra. Anche di coraggio. Perché per trovare qualcuno che vada davanti al plotone d’esecuzione mediatico di Formigli a rimettere al suo posto il pessimo conduttore, bisogna cercare fuori dai due partiti di analfabeti comunicativi ed arrivare sino a Franco Cardini che nulla ha a che fare con Salvini e Meloni.
La Lega nel Ppe significherebbe la difficoltà di conciliare gli ordini ricevuti a Bruxelles con quelli in arrivo da Washington. Ed anche la sintesi appare un compito eccessivo per una classe dirigente di questo livello. Mentre è più agevole il compito di Fdi, alle prese con Washington e con Confindustria che, a sua volta, è perfettamente allineata con il padrone americano. Resta però sempre il medesimo interrogativo: perché scomodarsi ed andare a votare?