È bello questo idem sentire del giornalismo italico, dalle Alpi alla Sardegna. Tutti, o quasi, hanno scoperto contemporaneamente che fare affari con la Cina è controproducente. Dunque meglio metter fine a quegli accordi che avevano messo l’Italia in una condizione ideale per aumentare lo scambio commerciale, anche se la classe dirigente nazionale si era ben guardata dall’approfittarne.
Ma adesso, approfittando delle difficoltà del mega gruppo cinese Evergrande, diventa facile maramaldeggiare. Ed in questo il giornalismo italiano non teme confronti. Anche se, per il momento, le ricadute della crisi Evergrande sembrano poter colpire, tutt’al più, l’Inter. Mentre le conseguenze del disastro Lehman Brothers le paghiamo ancora adesso, ma non bisogna ricordarlo perché quelli erano i padroni statunitensi.
L’ordine di scuderia, comunque, è di presentare la Cina come un Paese sull’orlo del baratro, con una profonda rabbia popolare, con una economia sull’orlo del fallimento che cresce ad un ritmo superiore di solo 5 volte rispetto all’Italia. E soltanto quegli illusi dei francesi possono continuare a fidarsi di Pechino, a siglare accordi per miliardi di euro. Evidentemente non leggono i quotidiani italiani – va beh, non li leggono nemmeno gli italiani – e si illudono sulla tenuta del fronte dei Brics in versione allargata. Se leggessero i commenti atlantisti, scoprirebbero che nessuno è ormai interessato ad allearsi con India, Cina, Russia, Brasile e Sudafrica.
E mentre gli economisti italiani pontificano, mentre i politici eseguono gli ordini di Washington, il Pil degli illusi francesi cresce più di quello dei lungimiranti italiani. E mentre in Italia si procede con lentezza esasperante per realizzare un tratto di alta velocità ferroviaria, la Cina si accorda con l’Iran per nuove infrastrutture su rotaia che andranno ad intersecarsi con quelle tra Russia ed Iran e tra Russia ed India.
E mentre i media italiani gongolano per la crisi immobiliare cinese, le industrie automobilistiche di Pechino stabiliscono il record di esportazioni, grazie al boom sul mercato russo. Perché i russi – ovviamente in crisi nera a causa delle sanzioni, secondo i giornalisti italici – hanno rapidamente imparato a fare a meno delle vetture occidentali. Ed hanno acquistato quelle cinesi. Con brillanti ripercussioni sulla produzione in Italia di auto e, soprattutto, di componentistica.
Ma anche di questo, meglio non parlare..