Giovanni Succi? Chi era costui?
Ce lo racconta Enzo Fileno Carabba nel romanzo “Il Digiunatore” (Edizioni Il Ponte Alle Grazie, pp. 250, €16,00), uscito a dicembre dello scorso anno.
Nato a Cesenatico Ponente nel 1850 Succi fu, appunto, il più grande digiunatore di tutti i tempi. Dopo che la sua famiglia andò in rovina, partì per l’Africa in cerca di fortuna. Ma dopo una serie di fallite iniziative commerciali, in Africa non incontrò la Dea Bendata bensì la malaria. Rischiò di morire, ma uno stregone gli insegnò l’arte di digiunare e si salvò. Così, pur provenendo da una terra di voraci mangiatori, ed essendo lui stesso un divoratore di qualsiasi tipo di cibo, scoprì che digiunando non solo poteva accrescere la vigoria del corpo e tenere lontane le malattie, ma ci poteva anche guadagnare.
Così, tornato in patria, cominciò ad esibirsi nella sua arte: quella appunto del digiuno. I ristoratori lo assumevano, lo chiudevano all’interno di una gabbia posizionata al centro del loro locale e lo esibivano come fenomeno da baraccone. La seconda metà dell’Ottocento fu terreno fertile per ogni tipo di personaggi di questo tipo. Il Circo Barnum faceva parlare di sé per ogni dove grazie ai suoi fenomeni. E Succi non fu certo l’unico digiunatore di cui si ha notizia in quel periodo. Ma, a quanto ci dice Carabba, fu il più grande di tutti, studiato addirittura dai più importanti medici del tempo, nonché da uno stuolo di dottori che si occuparono di lui nel corso di una sua performance fiorentina.
Ma se all’inizio le sue erano esibizioni dilettantesche, sul finire del secolo finì nelle mani di un tal Achille Ricci, che si autodefiniva “l’uomo più furbo del mondo”, il quale lo portò in giro per il mondo facendo un sacco di soldi. Prima e dopo queste peregrinazioni Succi ebbe modo di incontrare Henry M. Stanley e di rivelargli che Livingstone non aveva scoperto le Cascate Vittoria visto che, prima che lui ci arrivasse, un livornese aveva aperto un chiosco di prodotti locali proprio lì vicino. Quindi conobbe (forse…) Freud e influenzò le sue ricerche sull’inconscio; Buffalo Bill ai tempi della disfida, persa, contro i butteri maremmani; Kafka al quale ispirò un racconto; fu tra coloro che per primi accesero una lampadina a Milano; conobbe i più importanti spiritisti dell’epoca; divenne amico di Dino Campana; e contribuì a dare una svolta alla prassi rivoluzionaria del Socialismo.
Insomma: un vero fenomeno. Un personaggio di cui parlarono tutti ma che fu dimenticato frettolosamente, tanto che a ricordarlo resta soltanto una via a Cesenatico e, oggi, questo bel romanzo.
Perché di un romanzo, in fin dei conti, si tratta; nel quale Carabba immagina che il protagonista, personaggio semplice, animato da un inguaribile ottimismo che sfocia spesso nella megalomania, sia guidato dalla voce della nonna defunta e da quella dello stregone che per primo lo indirizzò verso le meraviglie del digiunare.
Anche se, per certi versi, il libro di Carabba ricorda i romanzi di Castaneda, qui il misticismo non c’entra nulla. Resta il bel ritratto di un uomo straordinario, emblema di quello che Léon Daudet definì “lo stupido XIX secolo”, e che fu spazzato via dal secolo successivo.