Magari è solo un caso. Ma il partito del premier britannico, il partito conservatore e guerrafondaio, ha perso due seggi su tre in una tornata elettorale supplettiva comunale. Possono, ovviamente, incidere fattori locali, candidature sbagliate a livello personale. Oppure può essere un segnale chiaro, un monito al governo.
Perché anche in Gran Bretagna i sudditi di sua maestà cominciano a non poterne più di un premier che continua ad impoverire il Paese mentre insiste a sperperare denaro pubblico per inviare armi e “consiglieri militari” a Zelensky. Inflazione alle stelle, povertà crescente, ma il governo di Londra ha come priorità la guerra per procura.
Non sono soltanto i britannici ad essersi stancati delle pagliacciate della Nato e della follia di Zelensky. I buffoni, citati acriticamente da un giornalismo italiano ormai al di sotto di ogni limite di decenza, insistono sulle conseguenze catastrofiche per i Paesi poveri della decisione di Mosca di metter fine all’accordo sul grano ucraino. Pur sapendo che Kiev ha venduto solo il 2,5% del suo grano ai Paesi più poveri e non si arriva al 10% neppure considerando quelli meno disperati.
Ma la generosità atlantista è subito emersa con le dichiarazioni di Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania e Slovacchia che hanno già avvertito che respingeranno il grano di Zelensky poiché fa concorrenza sleale agli agricoltori europei. Resta solo Tajani a far finta di non aver capito nulla. Perché persino Crosetto ha dovuto ammettere che solo una quota marginale del grano ucraino finiva in Africa. In compenso le armi atlantiste consegnate a Zelensky sono misteriosamente apparse nelle mani dei terroristi anche in Siria. Ma su questo il governo di Roma non ha nulla da dire.