“Per motivi di giustizia” pubblicato da People Mondadori, è il titolo dell’ultimo libro di Marco Omizzolo, sociologo Euripes, docente a contratto in Sociopolitologia delle migrazioni presso l’Università La Sapienza e presidente di Tempi Moderni.
Nel 2019 è stato nominato, dal Presidente Mattarella, Cavaliere della Repubblica. Da un paio di decenni Omizzolo si occupa dello sfruttamento, al limite della schiavitu’, dei migranti sikh nell’agro pontino. “Questa volta non si tratta di un’analisi del fenomeno dello sfruttamento della tratta – spiega Omizzolo- ma il racconto delle loro storie di resistenza. Sono 15 storie, per altro una è di un italiano, di donne e uomini che hanno vissuto condizioni di vita molto gravi e che, grazie anche all’impegno di Tempi Moderni, sono riusciti con grande coraggio ad uscirne”.
Marco, nel tuo libro “Per motivi di giustizia” a chi dai voce?
Nel mio libro do voce alla comunità Sikh. Un popolo che per cultura e religione è accogliente, rispettoso, pacifico e dedito al lavoro. Purtroppo questa comunità, in agricoltura, viene trasformata in un esercito silenzioso di lavoratori e lavoratrici sfruttati nei campi: raccolta manuale di ortaggi, semina e piantumazione per 10-14 ore al giorno filate sotto il sole, costretti a chiamare “padrone” il proprio datore di lavoro e spesso soggetti agli interessi e violenze di finti leaders della comunità.
Quali sono le condizioni lavorative di questi nuovi “schiavi”?
Sono lavoratori che percepiscono in media quattro euro l’ora nel migliore dei casi, con pagamenti che ritardano mesi, e a volte mai erogati, violenze e percosse. Persone che per sopravvivere ai ritmi massacranti e aumentare la produzione dei “padroni” italiani sono letteralmente costretti a doparsi con sostanze stupefacenti e antidolorifici che inibiscono la sensazione di fatica e di stanchezza.
In cosa consiste la debolezza del sistema che fa accettare, a questi lavoratori, tale sfruttamento?
È l’isolamento sociale e culturale di questa comunità a costituire il terreno per l’arruolamento e l’intermediazione illecita dei braccianti, anche nella sua variante etnica. La mancata conoscenza, da parte di gran parte della comunità indiana della lingua italiana, dei diritti connessi alla regolare presenza sul territorio nazionale, dei diritti dei lavoratori e dei servizi socio-sanitari cui è possibile accedere, sono elementi strutturali che causano l’accettazione silenziosa dello sfruttamento e contestualmente l’impossibilità di immaginare un’alternativa al proprio vivere in Italia.
Tu delinei una strada ancora lunga da percorrere, puoi parlarcene?
C’è ancora molto da fare. L’elenco delle attuali condizioni di illegalità è lungo, le retribuzioni sono ancora oggi in parte inferiori del 50% rispetto al contratto provinciale. La pandemia ha gettato ulteriori ostacoli all’emancipazione del lavoro nelle terre dell’Agro Pontino. Questo perché la filiera della produzione agricola è rimasta aperta e questo ha significato che i caporali indiani hanno continuato a reclutare i lavoratori connazionali ma sono saltati i controlli.
Grazie a te questi lavoratori hanno voluto reagire “Per motivi di giustizia” e sono stati guidati da te a reclamare i propri diritti attraverso lo sciopero. Come hai conquistato la loro fiducia?
La comunità indiana ha sicuramente preso coraggio dopo lo sciopero e alcuni lavoratori, oltre a denunciare le violenze e le illegalità del padrone, si sono anche costituiti parte civile nei processi. Un passo in avanti importante, ma insufficiente per l’emancipazione piena e consapevole da parte di tutti i braccianti. Questo a causa di un altro fenomeno preoccupante: oggi si rileva il dominio crescente di singoli soggetti indiani che si auto-proclamano capi dell’intera comunità, ma di fatto operano contro di essa. Un ruolo ambiguo, dialogando con le istituzioni territoriali e, al contempo, agendo come loro complici o contro i diritti degli stessi indiani. Sono persone con molto potere, che hanno anche accumulato una certa ricchezza. E, forti di tale posizione, ostacolano l’emancipazione della comunità indiana, assoggettandola ancora di più alle volontà del padrone.
Quali strategie adotterai per aiutare questi lavoratori poco tutelati?
Con l’associazione Tempi moderni è in itinere un progetto chiamato “Dignità” che consiste nell’apertura di sportelli di sostegno ai lavoratori con avvocati preparati e mediatori culturali. Lo scopo è ascoltare, accogliere, assistere i braccianti e indirizzarli in una strada di emancipazione.
Non si fa in un’intervista seria, lo so, ma ringrazio Marco Omizzolo per avermi concesso questa intervista, per il suo grande impegno e per la sua grande amicizia.