Chissà se i sovranisti centralisti, quelli che sono andati in piazza con il tricolore per festeggiare il successo degli azzurri, si sono sentiti imbarazzati dalla condivisione del tifo non solo dalla gran parte degli altri europei, Ursula von der Leyen in testa, ma pure da scozzesi e gallesi.
D’accordo, gli inglesi sono antipatici a quasi tutti, con l’eccezione delle oligarchie cosmopolite che hanno un senso di inferiorità nei confronti di tutto ciò che sa di Londra. Ma aver dovuto condividere la festa con i popoli senza Stato, con le minoranze di ogni Paese europeo avrà infastidito i sostenitori del centralismo, di un’Italia affidata ai prefetti, di chi considera le piccole patrie come una minaccia per l’inesistente cultura unitaria.

Ovviamente all’interno del grande raccordo anulare di Roma preferiscono non ricordare il sostegno all’Asse da parte degli intellettuali bretoni ed occitani. Meglio limitarsi a contrastare i sogni di indipendenza dei cattivi catalani. Troppo impegnativo mettersi alla testa di tutte le piccole patrie del Vecchio Continente per costruire una Europa completamente diversa da quella dei banchieri e dei burocrati. Chissà quanto avranno sofferto, i centralisti, a vedere Salvatore Sirigu con la bandiera della sua Sardegna sul campo di Wembley.

Un atteggiamento che fa il paio con quello del direttore del Corriere della Sera che accusa non meglio precisati “Paesi dell’Est”, cioè Ungheria e Polonia per iniziare, di ostacolare la creazione di una vera unione europea rifiutando le imposizioni di Bruxelles. Quando, nella realtà, è esattamente il contrario. È l’oppressione del pensiero unico obbligatorio che spinge i popoli a rifiutare i diktat. Proprio come il centralismo dei sovranisti impedisce alle infinite culture europee di creare un mosaico unico al mondo. E, proprio per questo, vincente. Come dovrebbe insegnare il Rinascimento, così lontano dalla mentalità di chi è chiuso nelle proprie convinzioni giacobine.