Gli Usa riscoprono le Comuni e, come al solito, si autoconvincono di essere stati loro ad inventarle. Già il nome, Comune, è riferito a quella parigina del 1871 ma da un popolo che si dedica alla cancel culture non è che si possa pretendere più di tanto. Ovviamente le nuove Comuni non hanno più nulla a che fare con le esperienze della beat generation, dei figli dei fiori.

Niente promiscuità sessuale, scambi di coppie, figli da condividere. Le nuove Comuni politicamente corrette ed anche asettiche – così si evitano pulci e pidocchi del passato – prevedono che ciascuno si paghi la stanza o le stanze in cui vive con chi gli pare. Però ci sono spazi condivisi per poter mangiare insieme, fare il bucato insieme (pura libidine) o avviare qualche attività artistica in collaborazione con altri comunardi. Non proprio una rivoluzione.
Esperienze analoghe esistono da tempo anche in Italia. Per non ricordare le case condivise in epoca sovietica. Ma nell’Urss erano odiatissime da chi era costretto a convivere con persone e famiglie che non aveva scelto. E in Piemonte ci sono comunità, come Damanhur, che praticano una convivenza molto ma molto più avanzata.

Però i bambinoni yankee hanno pensato di risolvere in questo modo il problema della solitudine, dell’isolamento. I meravigliosi frutti dello stile di vita americano, simbolo di quell’atlantismo che tanto entusiasma gli italiani. Ciascun per sé e guerra tutti contro tutti. Per poi ritrovarsi a sperare in un incontro su internet per trovare non un amico ma almeno un compagno di minestra, qualcuno con cui condividere una pizza, magari trovando anche due parole da scambiarsi sempre che un dialogo non porti a denunce per aver violato gli standard del politicamente corretto