Untore: epiteto attribuito a coloro che durante la peste di Milano del 1630 furono sospettati di diffondere il contagio ungendo persone e cose con unguenti velenosi; contro di essi si scatenò spesso l’ira popolare e si dette anche corso a persecuzioni giudiziarie. Le unzioni effettivamente ci furono, ebbero carattere di continuità e, nel colmo della peste, furono assai frequenti, soprattutto da parte degli stessi monatti che, interessati a perpetuare con la peste il proprio guadagno, potevano veramente diffondere l’infezione spargendo intorno il marciume degli appestati.
Cambiamo data, cambiamo malattia, cambiamo modalità: cosa vi ricorda l’immagine proposta, la diffusione del contagio e il tornaconto dall’epidemia?
Ma la nostra gestione governativa della virosi, signori!
I gestori politici e tecnici della crisi ‘covidiana’ possono costituirsi in due differenti campi di valutazione: o disarmanti incapaci, oppure lucidi criminali. Tertium non datur, tanto per fare sfoggio di cultura.
Da un lato, continuano con l’altalena frustrante delle indicazioni di prevenzione: distanziamento, possibili clausure, sanzioni a clienti e locali pubblici, riduzione delle attività istituzionali ed altre estorsive pratiche di punizione e di avvertimento.
Dall’altro, accettano – e fatto più grave, concordano – accoglienze di clandestini infetti distribuendoli sul territorio nazionale, occupando alberghi, ospedali militari, navi o diverse strutture di accoglienza.
Ora, quando nei secoli passati non esistevano le teste d’uovo della moderna prevenzione e igiene pubblica, e i politici erano dilettanti populisti – il termine ‘uovo’, per i più spregiudicati, può essere sostituito con un termine che comincia per ‘c’, finisce con una vocale, ha cinque lettere di cui l’ultima doppia – si inventarono i lazzaretti, i lebbrosari, i tubercolosari.
Non certo per cattiveria, per sadismo. Semplicemente perché in epidemiologia la prima cosa da fare è raggruppare i malati e circoscrivere il focolaio infettivo.
Sparpagliare gli infetti significa diffondere l’infezione. Forse anche quel fenomeno di Speranza – nome evocativo del sempre valido gesto apotropaico – potrebbe capire la faccenda, se sapesse leggere il più semplice manuale di sopravvivenza del Club di Topolino.
Ma se non è stupidità, allora è cattiveria. È comportamento criminale contro il popolo per provare una nuova condizione di allarme, con conseguenti provvedimenti di sottomissione e di controllo.
Una volta gli untori li giustiziavano. Ora si attendono le votazioni per esautorarli. Mai una gioia sanguinaria, solo pedanti e noiose prassi elettorali. Siamo proprio caduti in basso.