Ci fosse almeno un giorno del calendario libero da festività imposte.
Macché. Un tempo si guardava il calendario per conoscere il santo del giorno e prodigarsi in auguri di buon onomastico, ora si ama a comando la morosa, il papà, la mamma, ci si indigna in date fisse contro la violenza sulle donne, contro la mafia, contro il cancro (eh sì, il cancro fugge quando scopre che è la giornata dell’indignazione ufficiale).
Oggi è il giorno della felicità. Boh? Si può evitare di andare a lavorare, per poter essere felici? Possono trovare un lavoro, per un giorno, i disoccupati? Evitiamo la morte delle persone care e ci dedichiamo solo alle nascite? Dedichiamo l’intera giornata al sesso con i partner ufficiali o siamo più felici se è il turno delle amanti?
Di sicuro sarà felice l’ideatore di questa ennesima cialtronata. Roba da poco, sia chiaro, rispetto ai disastri del mondo. Ma già questo obbligo di essere felici a comando non è proprio il massimo. E poi significa che negli altri 364 giorni possiamo o dobbiamo essere infelici?
Un giorno di felicità all’anno, per molti sarebbe già un miracolo. Ma mica te la garantiscono, la felicità. È un obbligo, non un regalo. E allora via alla sagra delle banalità. Non è il denaro che fa la felicità, una massima stupida quanto inevitabile in un giorno come questo. Già, ma com’è questo giorno? Uguale a ieri, uguale a domani. Ma ieri era la giornata del papà e domani sarà il primo giorno di primavera.
E poi se almeno è chiaro cosa voglia dire festeggiare il proprio babbo, rimane misteriosa la ragione per cui uno questa mattina avrebbe dovuto svegliarsi felice dopo una notte trascorsa a litigare con la propria compagna, dopo aver perso il lavoro, dopo aver ascoltato l’intervista a Urbano Cairo sul disastro del Toro, dopo aver tentato invano di digerire una cena pesante.
Agli inventori delle giornate a tema obbligatorio non frega nulla di tutto ciò. In fondo è solo una delle tante facce del Grande Fratello. Felicità obbligatoria, avrebbe detto Giorgio Gaber.