“Tu scendi dalle Stelle o Re del Cielo / e vieni in una Grotta, al freddo e al gelo…”
È da stamane all’alba che queste parole, e la relativa armonia, mi risuonano in mente. Da quando ho visto i primi raggi dell’aurora riflettersi sulla brina. Che la notte ha depositato sul prato di fronte a casa, e sui vetri delle macchine parcheggiate tutto intorno…
Alfonso de’ Liguori. Una melodia struggente. E parole di essenziale semplicità. Ad evocare una fede ingenua. Eppure forte. Vissuta con intensità.
Parole semplici… eppure nella semplicità vi è molto. Significati che possono portare lontano. Lontanissimo. Come fossero porte su altri mondi. Porte….anagogiche, per dirla, ancora una volta, con Dante.
Il Re del Cielo. Le Stelle e la discesa. La Grotta. Tre immagini essenziali. E potenti. Soprattutto se riusciamo ad andare oltre al sentimentalismo, un po’ sdolcinato, delle atmosfere natalizie. E, oggi, a dimenticare, l’incubo surreale in cui stiamo vivendo.
La Grotta è la profondità. È il mistero. È, anche, il simbolo della conoscenza. Ma di una conoscenza riflessa. Ombre delle pure idee, deformate dal nostro pensare astratto. Quindi, morto. Il senso del mito platonico.
La Grotta è la cripta della sepoltura. È la terra cava e fredda nel profondo inverno.. Tuttavia proprio lì discende, e penetra, il Re del Cielo. Il Sole. Non quello fisico, che è solo la sua immagine riflessa. Il Sole che, dal Solstizio, ha ripreso il suo corso ascendente. Il viaggio verso il Polo celeste, lungo l’antico Sentiero degli Dei.
E il Sole è penerato nella Terra con la potenza luminosa delle Stelle. Le Stelle che formano la corona della Mater, celebrata nel giorno dell’Immacolata. La Mater che è la Luna, splendente. Le Stelle che preparano la Terra ad accogliere il Re. Che ritorna per affermare il suo regno, dopo il dominio dell’oscurità.
Non so se il professor Tolkien conoscesse il canto di Alfonso de’Liguori. Facilmente sì, visto che era convinto cattolico, e cattolico antico. Oltre che esperto come pochi di miti e simboli. Comunque, nella sua immensa Trilogia dell’Anello, è possibile ritrovare le stesse immagini, sotto le vesti di una fiaba fantastica.
Il de’Liguori, autore della prima redazione, in napoletano, della Cantata, non era solo un Vescovo e un compositore. Era un teologo e un mistico. Che transfuse nelle sue “Canzoncine spirituali” dottrina e intuizioni, fors’anche visioni. Le versioni di questo Canto sono innumerevoli. Come le interpretazioni. Ma il punto fondamentale è l’immagine, iniziale, che evoca. E che va al di là di ogni Chiesa ed ogni dogma. È la percezione del mistero che si compie sensibilmente nella Natura ogni anno. La discesa del Sole nella profondità della Terra Oscura. E il suo portarvi la luce, pura e purificante, delle stelle.

Evoca buoni sentimenti, l’ascoltarla in questi giorni. E ridesta nel cuore, che è, a suo modo, una Grotta, inaridito e freddo, una sorta di calore. Accende un fuoco. Emana una luce. Dona… speranza. Ad animi semplici, certo. Forse anche un poco infantili. Come i Pastori che videro splendere le stelle in cielo. E illuminare quella Grotta di tanti, tantissimi anni fa. Come i Pastori che vegliavano in Oriente, ci dice il Pascoli ne “La Buona Novella”. Mentre in Occidente la Grande Città dormiva. E solo i morti sentirono l’annuncio e videro le stelle…
Due immagini, due canti, Pascoli e de’Liguori, che si intrecciano nella mia memoria. Mentre osservo dal balcone questa città, questa Roma che continua a dormire. Avviluppata nei suoi incubi…