Il principe di Salina amava guardare le stelle. Non era un semplice hobby, come si usa dire oggi… anche perchè l’hobby è cosa tutta moderna, un modo di impiegare il tempo libero per non sentire il morso della noja… e diciamocelo senza infingimenti… l’hobby è roba per le masse, che possono entrare in un circolo di astrofili, come al bowling, in una loggia massonica come alla bocciofila, in una chiesa come allo stadio. Roba volgare. Roba per plebei….

E lui, invece, il Principe sapeva come entrare nella dimensione del tempo in cui, per un attimo, lo scorrere inesorabile delle ore viene sospeso. Un momento, certo…. ma un momento supremo. Un’esperienza interiore. Crisi e distacco. Quello che i filosofi greci chiamavano Kairòs. Che, oggi, viene troppo spesso tradotto (da chi il greco non sa) come “tempo libero”…. insensato per don Fabrizio che, da autentico Gattopardo, aveva tutto il tempo libero che voleva…. ma ricercava, appunto, quei momenti di supremo distacco contemplando le stelle. Non come, semplice, appassionato di astronomia… ma come avrebbe potuto fare un antico filosofo stoico. Per sperimentare l’atarassia.
Quello di Tomasi di Lampedusa non è, solo, un grande, grandissimo, romanzo. È, piuttosto, la narrazione di una frattura del tempo storico. Un momento in cui la storia è radicalmente cambiata, senza,però, che gli uomini se ne rendessero davvero conto. Una svolta… che solo uno spirito antico, e scettico, come don Fabrizio (che era poi l’avo dell’autore) poteva davvero cogliere in tutta la sua portata.

Ogni capitolo, quasi ogni pagina de “Il Gattopardo “, dà principio ad una catena di osservazioni, riflessioni, pensieri… che si snodano da quel tempo sino al nostro presente. E divengono sorta di filo di Arianna nel labirinto della modernità…
Vi è un punto in cui il principe parla della morfina. Che era appena stata scoperta. In America. E che aveva la funzione di sedare il dolore. Il dolore fisico, certo, che così la nuova sostanza era stata presentata. Un bene per chi soffriva. Un dono.
Ma, intuisce don Fabrizio, anche un altro dolore. Più profondo. Interiore. Il dolore di vivere, di cui tanto avrebbe parlato, e discusso, la filosofia esistenzialista.
Un sostituto moderno della sopportazione stoica del dolore. O della, rassegnata, paziente, accettazione cristiana. Chiosa il Principe.
E, poi, pensa a quanti uomini, anche illustri, anche lo stesso re Ferdinando che era sempre preso dagli affari di Stato, cercano di sopire l’angoscia con qualcosa di esterno a loro. Di trovare un puntello. Un’oasi di pace. O, almeno, uno strumento di oblio.
Alla fine, si torna sempre ad Omero. Che è alla radice di tutto ciò che siamo. Ci piaccia o meno.
I Lotofagi. I compagni di Ulisse sono stanchi di guerre e di mare… preferirebbero restare li, in quelle terre remote. Cibarsi del loto. E dimenticare. Il passato ed anche l’inquietante futuro.
Anche Ulisse è stanco. Troppi anni di lotte e peregrinazioni. Anche lui vorrebbe fermarsi. È attratto dall’oblio. Ma non può. Lui è Ulisse il conquistatore di Troia. Il re di Itaca. Sa che deve seguire il suo destino. Non si ciberà del loto. Non cederà al canto delle Sirene. Non resterà con Circe, né accetterà l’immortalità offertagli da Calypso. Lui deve andare avanti. Gli piaccia o meno, deve accettare un destino che è agone perenne.

La nostra, quella che don Fabrizio intuisce sul nascere, è la società dei Lotofagi. Non per l’uso delle droghe, legali e illegali, sempre più diffuse. Tutto, ormai, è mezzo per stordirsi. Per non pensare. Per dimenticare l’insensatezza del nostro vivere. Di una esistenza senza luce, oscura, di per se stessa peggiore della morte… cui tuttavia restiamo abbarbicati con paura animale. Anzi, bestiale.
E ci stordiamo. In ogni modo. Supini a tutto. Sempre più pedine di un gioco di cui nulla sappiamo. E, in fondo, nulla vogliamo sapere.
Nel suo scetticismo aristocratico, da uomo antico, il Principe di Salina ha, invece, scelto di contemplare le stelle.
Non è una… morfina. Non è il loto. Ma una una prospettiva più… ariosa. Ti fa vedere le cose nella loro giusta proporzione. E tutti i nostri affanni, le angosce, le guerre sono… ronzio d’un’ape entro un bugno vuoto. Per dirla col Pascoli.
Vado in terrazza. Il cielo è sereno nella notte che già sa di Primavera. Alzo lo sguardo. Aveva ragione il Gattopardo…