Poco meno di due mesi dopo il primo turno per le elezioni presidenziali i cittadini del Guatemala saranno chiamati al voto per il ballottaggio domenica 11 agosto.
Gli otto milioni di aventi diritto potranno scegliere tra l’imprenditrice Sandra Torres e l’ex direttore del sistema penitenziario nazionale Alejandro Giammattei.
Entrambi sessantatreenni, i due non sono nuovi al tentativo di scalata alla massima carica istituzionale del più popoloso stato centroamericano (fatta eccezione per il gigante messicano). La Torres, infatti, è stata first lady durante la presidenza di Álvaro Colom ed ha provato a farsi eleggere già nelle due precedenti competizioni. Se nel 2011 venne esclusa per via di una legge che impedisce ai familiari, oltre che allo stesso presidente uscente, di candidarsi, nonostante il fresco divorzio, nel 2015 le fu fatale il secondo turno contro il comico Jimmy Morales.
Dal suo canto Giammattei si è candidato, senza ottenere risultati degni di nota, a tutte le tornate presidenziali già dal 2007. Il voto per il primo turno dello scorso 16 giugno, al quale si univa l’elezione dei 160 deputati dell’unica Camera del Paese e quella di 340 sindaci, non ha scaldato gli entusiasmi portando ad esprimersi poco meno del 60% dei guatemaltechi. La Torres riparte dal vantaggio di nove punti percentuali e conta di riportare il partito di centrosinistra Unidad Nacional de la Esperanza (Unità Nazionale della Speranza, UNE) al governo. Il 24,2% dei consensi non la pone al riparo da eventuali accordi tra Giammattei, fermatosi al 15%, e altri candidati minori che potrebbero far confluire sul partito di destra Vamos por un Guatemala Diferente (Andiamo per un Guatemala Differente, VGD) le proprie preferenze pur di impedire nuovamente alla Torres di essere eletta.
In particolare potrebbe avere un certo rilievo il 12,1% raggiunto dall’ex funzionario dell’ONU Edmond Mulet. In una nazione segnata dalla corruzione, dall’emigrazione verso gli Usa e dalla criminalità, l’unica ventata di novità sarebbe potuta essere la candidatura di Thelma Aldana, ex presidentessa della Corte Suprema di Giustizia, sostenuta dal movimento indigeno ma esclusa dalla competizione.