La confusione è grande sotto le mascherine. Ma, contrariamente a quanto pensava il presidente Mao, la situazione non è per nulla eccellente. Qualcuno mente e, considerando che si tratta di affrontare l’emergenza, non è proprio il massimo assistere in continuazione a questo scontro di cifre, dati, promesse, giustificazioni. La task force del lìder minimo aveva assicurato che non ci sarebbero stati problemi nel fornire mascherine chirurgiche a 50 centesimi.
Farmacisti e negozianti vari erano insorti, sostenendo che il prezzo era troppo basso, che non garantiva un guadagno soddisfacente. E che poi occorreva aggiungere l’Iva. Il governo allora precisava che l’Iva sulle mascherine veniva abbassata subito al 5%, per poi essere eliminata in una fase successiva. Polemica finita? Macché. Le mascherine non arrivano e, in una intervista televisiva, un rappresentante dei farmacisti chiarisce che, con l’Iva, le mascherine si devono comunque vendere a più di 60 centesimi. Se fosse al 5%, il prezzo sarebbe di 52/53 centesimi. Ma allora ha mentito il governo sulla riduzione dell’Iva?
Anche a livello locale le mascherine sono fonte di scontro. Il Piemonte decide di regalarle alla popolazione ma un sindaco, schierato sull’opposto fronte politico, si rifiuta di distribuirle poiché prive di certificazione. Allora insorge Alberto Preioni, presidente del gruppo leghista in Consiglio regionale, spiegando che le mascherine, lavabili, rispondono ai requisiti previsti dagli immancabili decreti del lìder minimo. Ma non sono certificate, precisa, “perché se avessimo dovuto aspettare l’ok da Roma avremmo rischiato di perdere mesi e mesi”.
Dunque meglio nessuna mascherina gratis, nel Comune del contestatore, piuttosto di dar ragione al nemico leghista. In attesa che il governo mantenga almeno una promessa, quella sull’Iva al 5%, oppure che venga cacciato il farmacista che ha assicurato che l’Iva non è stata ridotta.