Nella storia del cinema italiano c’è un film semisconosciuto che vanta un singolare primato. Si tratta di “Harlem” di Carmine Gallone, uscito in Italia alla fine del mese di aprile del 1943, circa tre mesi prima della caduta del Fascismo.
Nato come un colossal di Regime – non per niente, affidato prima ad Alessandro Blasetti, ma, dopo la sua rinuncia, diretto dallo stesso regista di Scipione l’Africano – venne riproposto al pubblico nostrano nel 1947 con ben trentuno minuti di tagli, riducendone la durata dalle due ore iniziali a poco più di un’ora e mezza. Un caso unico, che ne fa il film più censurato di sempre.
Un motivo sufficiente perché Luca Martera ne ricavasse un libro pubblicato di recente da La Nave di Teseo (pp. 345, 22,00€).
L’autore è un documentarista e specialista in ricerche storiche e audiovisive; giornalista e scrittore ha collaborato con tutte le principali emittenti televisive al fianco di Antonio Ricci, Enrico Mentana, Pierfrancesco Pingitore, Giovanni Minoli e numerosi altri.
Il suo Harlem è un approfondito studio che non si limita a raccontare la storia del film ma un interessante approfondimento su un’epoca di cui si parla spesso ma sul quale si sa poco o pochissimo: il periodo dei cosiddetti “Telefoni bianchi”.
In origine la pellicola, nata in piena Seconda Guerra Mondiale, e ideata poco dopo l’ingresso nel conflitto degli USA, doveva essere uno strumento di propaganda antiamericana. Narra infatti la storia di un italiano che raggiunge New York per fare visita al fratello che è diventato un grosso imprenditore immobiliare della Grande Mela, e che vuole fare fortuna lanciandosi nel mondo della Boxe.
Forte di un cast d’eccezione che comprende Amedeo Nazzari, Massimo Girotti, Enrico Viarisio e Osvaldo Valenti – qui nelle vesti del “cattivo” – il film ebbe un grande successo di pubblico e di critica: ne parlarono bene anche Michelangelo Antonioni, Carlo Lizzani e Luchini Visconti.
Ma dopo la guerra, per via di una scelta piuttosto singolare, mentre furoreggiava il Neorealismo, venne riproposto nelle sale censurato di tutte le parti che erano state inserite per mettere in cattiva luce gli americani. Ciò non impedì che diventasse un punto di riferimento per John G. Avildsen che si ispirò ad Harlem per il primo Rocky, e per lo stesso Martin Scorsese che dichiarò di esserne rimasto affascinato al punto da averne tratto spunto per il suo Toro Scatenato.
Ma come si diceva il libro di Martera va ben oltre. Egli ci offre infatti una fotografia di quella che fu la produzione cinematografica italiana nei primi Anni Quaranta, con i suoi protagonisti, le pesanti ingerenze del Regime, i metodi di produzione, i commenti dei giornali e così via. Per fare ciò pubblica una gran mole di documenti di quegli anni. Come il verbale dell’8 settembre 1944 in cui una commissione di lavoratori dello spettacolo, composta tra gli altri da Mario Soldati e Luchino Visconti, epuravano come fascisti numerosi attori e registi tra i quali spiccano i nomi di Leo Longanesi, Roberto Rossellini, Alessandro Blasetti, Mario Mattoli, Anton Giulio Maiano e Camillo Mastrocinque, che, nonostante ciò, avrebbero avuto un grande successo negli anni successivi.