Un oscuro burocrate, seduto al tavolino, ha revocato a Reinhold Messner il record per essere stato il primo alpinista al mondo a scalare tutti gli ottomila del pianeta. E lo ha fatto non perché Messner abbia barato ma perché un altro oscuro giornalista ha sostenuto che, nella conquista dell’Annapurna insieme a Kammerlander, i due sudtirolesi avrebbero raggiunto non la vetta più alta bensì una vicina, più bassa di pochi metri.
L’altezza dell’Annapurna e di 8.091 metri, dunque se anche avessero sbagliato la vetta fermandosi a 6 metri dalla cima reale, sarebbero comunque andati oltre i fatidici ottomila. E Messner ha provato a spiegare che, a quelle altezze, ogni anno cambia il punto più elevato, anche in base alla neve. Ma i due ottusi burocrati non hanno cambiato idea. Dimostrando, tra l’altro, di non avere la benché minima idea di cosa sia l’alpinismo. E neppure di cosa siano le montagne. D’altronde non ci si può aspettare di meglio dai burocrati.
Mentre Messner e Kammerlander, al di là della precisazione, non si sono preoccupati più di tanto. Loro non sono andati in montagna per battere i record. Perché la montagna è altro. E le imprese non sono stabilite dai burocrati, ma dall’impresa stessa. Anche le aperture di nuove vie non servono per finire sul bollettino dei record. E neppure per riempire il programma TV di Gerry Scotti.
La grandezza di Messner e Kammerlander non è stabilita dal burocrate di turno. Che, guarda caso, ha deciso che il primato spetta ora ad un alpinista statunitense. In perfetto stile sovietico. Quando la disinformazione di Mosca assicurava che ad inventare la pila non era stato Alessandro Volta bensì un tale Popoff. E la radio? Popoff. E il telefono? Popoff. Ora tocca a Washington farsi riconoscere primati di ogni tipo. Tanto i servi sciocchi abbondano in ogni parte del mondo atlantista.