Ogni stagione ha i suoi colori. Questi sono, in genere, nella natura. Il mutare dei prati, delle foglie degli alberi, dello stesso cielo…
Questo periodo dell’anno, però, è particolare. L’autunno sta giungendo alla fine. E le sue tinte mutevoli, varie, impressionistiche, lasciano il posto al grigiore dell’inverno. La stagione atona per eccellenza. Che si protrarrà sino a Febbraio. Però c’è uno jato nei corso, apparentemente immutabile e circolare, del tempo. Quello delle Feste di fine anno. O meglio, delle Feste dei Solstizio. Perché da San Nicola in poi sono tutte feste Solstiziali. Che invocano, anzi evocano, la rinascita del Sole. Fino all’Epifania. Che non casualmente si è sovrapposta alla data del Solstizio secondo il Calendario dell’antico Egitto.
E queste Feste si ammantano di colori che non possiamo che intuire nella natura invernale. Presenti, certo…ma una presenza sottile. Celata. A suo modo misteriosa.
Il bianco, innanzitutto.
Che, in un certo senso, è un non colore. Un’assenza. E, in altro senso, è tutti i colori. Perché tutti lì racchiude.
Il bianco, poi, è la neve. E il Natale e Feste collegate, viene da sempre rappresentato con paesaggi innevati.
Oh, lo so bene…la neve, in questa stagione, è solo in una parte del mondo. E, in Italia, sulle zone montuose. Io, potrei dirmi fortunato. Il paesaggio che vedo dalla mia finestra è totalmente candido. E soffice. È nevicato per buona parte del giorno….ma non è questo….non solo questo.
Il bianco ci ricorda la Terra addormentata sotto la coltre di neve. E un mondo fantastico di gemme, esseri favolosi, forse gli gnomi delle fiabe….e i semi, poi, che riposano e maturano in attesa del risveglio primaverile
E poi…il bianco è purezza. E solo Dio sa se non abbiamo un sempre più disperato bisogno di qualcosa di puro, incontaminato, in questo mondo eroso da tante tabe. E nelle nostre stesse anime, poi. Che le patiscono e riflettono.
Poi, c’è il Rosso. Il colore del costume, canonico, di Santa Claus. Il colore del fuoco. Che riscalda. E che, acceso nella notte, evoca la speranza del calore e della luce.
Il colore della passione, anche. Il fuoco che brucia e arde nelle vene. Di chi ancora riesce a credere in qualcosa. A sognare. Sempre che sia ancora possibile, e che i sogni non siano ottusi da psicofarmaci con cui si cerca di sedare le ansie del giorno…
Esagero? Forse. Ma l’odore dolciastro delle benzodiazepine è sempre più invasivo. In ogni luogo. In quelli di lavoro, come tra i banchi di scuola. Una generazione che sta venendo demolita nella psiche. Con la complicità di quelle dei genitori e dei nonni, che l’anima se la sono già giocata, o venduta, da lunga pezza….
E il Rosso, poi, mette… allegria. Il colore del sangue. Che pulsa nelle vene. Che ti fa sentire la vita che scorre.
Ardere. Pulsare. Vivere, alla fine. Antitesi al grigiore del mondo circostante…
Il Blu. Intenso. Elettrico, come si dice talvolta. Il colore del ghiaccio. Però infonde calma. Serenità. Il gioco cromatico fra rosso e blu, nella luci dell’albero di Natale, nelle decorazioni, ha questo scopo. Farti passare da uno stato di eccitazione della vita, dal pulsare feroce del sangue, alla calma più profonda.
Una tecnica dei monaci tibetani. Concentrarsi sul rosso. Uno straccio impregnato di tintura. Poi, quando ci si è identificati con il colore, passare ad un altro straccio. Blu. E cosi via. Sino a raggiungere una sorta di atarassia. Che non è assenza di passioni, bensì sublimazione delle stesse.
Nella moderna psicologia vi è una qualche memoria di questo. Il gioco fra i due colori viene, talvolta, utilizzato per portare al rilassamento un “paziente” troppo agitato. Però è andato perduto il senso ultimo di tale cosa. Che non è stare tranquilli e riposare. Anche se chiunque sa che dormire in una stanza blu rilassa. Facilita il sonno…. I monaci, i seguaci dei tantra, la utilizzavano per ben altro. Depurazione dalle passioni. O, meglio ancora, metamorfosi di queste. Che divengono, una volta che la mente e il cuore riposano in una quiete profonda, conoscenza. Non intellettuale o astratta, però.
Infine, l’oro. Dominante in questi giorni. L’oro che risalta sul bianco. Che viene generato dal blu. Che scaturisce, come raggi di luce dal rosso. Provate a fissare un fuoco. La fiamma è rossa, più scura alla base, dove contrasta col nero nella brace. Nero, il colore, il non colore, della notte. Della Tenebra. Man mano che ascende, la fiamma diventa però sempre più chiara. Si purifica e si fa oro. È quello che vediamo in natura. O meglio, che potremmo vedere se osservassimo il sorgere del Sole. L’Aurora. O, all’opposto, il tramonto.
Ed è – tanto per dare fiato alle mie, inutili, passioni da vecchio erudito – l’atanòr. Il fornello con cui gli alchimisti riproducevano, nei loro laboratori, i processi naturali.
Che dovevano culminare nella produzione dell’Oro Filosofico.
Il Paradiso di Dante è un trionfo del colore oro. Come i cieli, affrescati dal suo conterraneo, e probabilmente amico, Giotto.
I colori delle Feste, i colori del Natale… colori interiori, anche se li possiamo scorgere in natura. Per trovarli, sperimentarli, bisogna scendere nella oscurità del cuore. Come il Sole, nella lunga notte che precede il Solstizio.
Sono…i colori del buio.
Ma questo è il titolo del romanzo, più erotico e tormentato, di Mishima…. dovrei parlarne….ma sta arrivando l’alba fredda di questo sabato di dicembre. Un’alba oscura, se non fosse per la neve, che tutto imbianca. Tutto rende silente e luminoso.
Sarà per un’altra volta…