I giornalisti italiani chiedono un intervento del governo per salvare la loro cassa previdenziale, da tempo in crisi. E fanno notare che, a differenza delle altre casse private, l’Inpgi (l’istituto previdenziale dei giornalisti) si sobbarca tutti gli ammortizzatori sociali, dalla cassa integrazione alla disoccupazione.
Una spesa superiore ai 30 milioni di euro all’anno che, secondo un intervento sul Sole 24 Ore, dovrebbe essere risarcita dallo Stato.
In caso contrario il futuro dell’Inpgi è a rischio nonostante la proposta del governo di far aderire alla cassa anche altri comunicatori per ampliare la platea di chi contribuisce alla cassa.
Perché il problema è questo, in fondo: il numero dei giornalisti in attività continua a ridursi a causa del crollo delle copie vendute. Vale per gli ex grandi quotidiani di servizio e vale anche per i giornali locali. Ma invece di interrogarsi sulle ragioni del crollo, ci si dedica all’accattonaggio per ottenere soldi pubblici.
Troppo fastidioso ammettere che il pensiero unico obbligatorio fa schifo alla maggioranza di italiani che, per questo, evitano di sprecare soldi per leggere ciò che fa comodo agli oligarchi. Troppo fastidioso ammettere che le copie si perdono ogni volta che un giornale evita di pubblicare la provenienza di un criminale, ogni volta che si nasconde la verità in nome del politicamente corretto. Si perdono lettori ogni volta che compare un’intervista zerbinata al potente di turno, ogni volta che Saviano viene presentato come un vero scrittore, ogni volta che il lettore viene insultato dal giornalista perché non ha votato bene, perché vuol difendere le proprie tradizioni, perché non vuole rinunciare a ciò che ha conquistato con il proprio lavoro.
Ma tutto questo viene ignorato, si preferisce perdere copie e lettori per poi andare a chiedere denaro pubblico per ovviare ai propri errori che non si vogliono correggere.