I giornalisti protestano per la crisi dell’Inpgi, l’istituto previdenziale della categoria. Giusto, perché i conti sono saltati anche per colpa dei governi e degli editori che hanno fatto pagare ai giornalisti una serie di oneri che non competevano. Però esiste anche un particolare non proprio irrilevante che ha portato alla crisi del settore: la totale perdita di credibilità della categoria.

Se i giornali non si vendono, la colpa non è del destino cinico e baro, ma delle menzogne propinate per anni ed anni. Senza che i giornalisti si degnassero di tentare – almeno tentare – di modificare la situazione. Repubblica di Scalfari aveva guidato il cambiamento, imponendo di “montare la panna” per riempire le pagine. Ma invece di rispondere con una risata ed un’alzata di spalle, gli altri giornali si sono accodati. Notizie irrilevanti spacciate per grandi scoop ed affiancate alla falsificazione della realtà: difficile credere che un simile mix potesse far incrementare le vendite. E, infatti, le copie vendute sono diminuite sempre più velocemente, rendendo troppo oneroso il mantenimento di redazioni eccessivamente numerose.
La scelta tra nuovi investimenti e nuovi tagli ha avuto una risposta facile ed immediata: nuovi tagli. E poi altri tagli ed ancora tagli. Quotidiani sempre meno spessi, vendite in ulteriore calo. Perché pagare per una qualità che si andava riducendo? I lettori sono diminuiti, i prepensionamenti sono aumentati, i collaboratori sono stati dimenticati o sottopagati. Ed i conti dell’ente previdenziale sono peggiorati.

Però si pretendono interventi pubblici senza offrire, in cambio, un radicale cambiamento nella direzione di una maggiore qualità. I media, cartacei o televisivi senza dimenticare l’online, offrono sempre le medesime menzogne, le solite analisi condizionate dal politicamente corretto. I lettori rifiutano l’immondizia e nessuno, nei media, si degna di fare autocritica. Se i lettori si rifiutano di pagare per essere disinformati, devono essere obbligati a pagare ugualmente in nome della libertà di mentire. Anche perché chi è abituato ad essere al servizio della disinformazione non ha il coraggio di contestare gli editori che distruggono i giornali in nome del risparmio. Dunque bisogna puntare sul denaro pubblico.
Perché i diritti acquisiti devono, giustamente, essere garantiti in ambito pensionistico. Ma il diritto ad essere informati con correttezza, onestà e competenza non è contemplato.