La riunione dell’Europarlamento ha avallato la proposta della Commissione europea di terminare le vendite di auto nuove a benzina e diesel nel 2035. L’emendamento sostenuto dal Ppe, che aveva in previsione una riduzione delle emissioni di CO2 del 90% invece che del 100%, non è stato approvato. Marco Bonometti, presidente del Gruppo Omr e membro del consiglio generale di Confindustria, non ha dubbi: il voto del Parlamento europeo sullo stop alle auto benzina e diesel, a partire del 2035, va rimesso in discussione.
Questo perché l’obiettivo della riduzione del 100% delle emissioni attraverso l’utilizzo di sole auto elettriche “è una condizione irrealizzabile, è impossibile, mancherà l’energia pulita per alimentare le batterie delle auto e le materie prime necessarie a produrle”. Senza contare, aggiunge Bonometti, “che dipenderemmo dalla Cina, come siamo dipesi dalla Russia sul gas”.
Il governo italiano dovrà scendere a compromessi, ipotizzando una riduzione al 90% invece del 100%. Non bisogna puntare esclusivamente sull’energia elettrica. Anche perché la ricerca delle case automobilistiche sta puntando su motori alimentati da carburanti non fossili, oltre a metano, biometano o idrogeno.
Bisognerà riaprire un dibattito e tornare in Commissione per riesaminare tutto. Il green deal, è un documento pensato in momenti in cui la guerra in Ucraina non esisteva. Non è stato preso in considerazione che l’Europa contribuisce all’8% delle emissioni di CO2 nel pianeta, contro il 30% della Cina e il 17% degli Usa. Di quell’8%, poi, solo l’1% è dovuto alla mobilità. Quindi ci sono scelte sbagliate che vanno riviste.
Scelte che distruggerebbero il mercato dell’auto europeo. Occorre prima fare una transizione tecnologica e solo in seguito fare una transizione energetica. Anche perché oggi non esiste un piano energetico italiano e tantomeno europeo. Quindi se fino ad oggi siamo dipesi da gas russo, domani con l’auto elettrica saremmo dipendenti solo dalla Cina, perché le materie prime necessarie sono appannaggio dei cinesi.
Inoltre sono 70.000 i posti di lavoro a rischio nell’industria automotive, legata alla produzione di componenti che non serviranno per l’elettrico. Per fare un’auto elettrica serve il 30% di lavoro in meno. Iniettori, pistoni, cilindri non servono più, il cuore dell’auto elettrica diventa la batteria. L’elettrico a oggi non è in grado di compensare la perdita di posti di lavoro, non basterà costruire colonnine di ricarica o altri componenti. Oggi il 70% delle batterie arrivano dall’Asia. La Cina da sola ha il 45% del mercato, seguono Corea del Sud e Giappone. Lo scorso dicembre a Skelleftea, in Svezia, Northvolt Ett ha prodotto la prima batteria europea. In Europa i maggiori progetti per la costruzione di gigafactory sono in Germania, Francia e Gran Bretagna. In Italia la casa automobilistica Stellantis ha deciso la conversione dello stabilimento di Termoli in fabbrica di batterie.
Il Governo dovrà rendere disponibili da subito per le imprese del settore gli 8 miliardi di euro stanziati con il fondo dell’automotive e servirsi di un apposito comitato scientifico che indirizzi le politiche di vantaggio nei settori strategici della mobilità del futuro. Il 2035 è molto più vicino di quanto sembri, ci si ritroverà nella trappola di una soluzione molto ideologica ma poco realistica.