Leggo, o meglio rileggo per caso una poesia di Borgès.”I miei libri (che non sanno che io esisto) / sono parte di me…”. Mi fermo qui. È un poeta ormai avanti negli anni. Parla di volto dalle tempie grigie… Come il mio oggi. Per carità… Nessun raffronto. Lui era, anzi è Borgès. Ed io… lasciamo perdere. Però, come spesso accade con i grandi, diventa specchio. Ti aiuta a vedere te stesso. A conoscerti e riconoscerti. Paradossale. Era cieco, l’Omero di Buenos Aires. Ma vedeva molto meglio di noi. Di me. Anzi, forse proprio la cecità gli aveva donato un’altra vista. Come agli antichi bardi. Come a Tiresia, l’indovino tebano.

Per chi ama i libri, questi divengono davvero parte di lui. Alcuni sopratutto quelli che non leggi solo una volta. Che rileggi. E che, spesso, riprendi in mano. Compulsi. O semplicemente sfogli a casaccio. Scorrendo una riga qua, un periodo là… Per ricordare. Per rievocare un pensiero. Un’emozione.
Tuttavia, non sono sicuro che l’inciso, o, ad essere più precisi, la parentetica nei versi borgesiani sia giusta. I libri “che non mi conoscono”. E soprattutto non so cosa il poeta volesse veramente dire. Perché escludo, a priori, che si tratti di un banale riferimento ai libri come oggetti inanimati. Non sarebbe da lui. Non sarebbe da Borgès. Che era, come dicevo, capace di vedere ben oltre la parvenza. E di cogliere la vita anche in ciò che sembra non possederla.
E allora, forse, la questione andrebbe posta in altro modo. Partendo dal fatto che i libri vivono. E non solo quando li prendi dallo scaffale, li spolveri e li leggi. Hanno una sorta di vita propria. Che non dipende dal lettore. E forse neppure dall’autore che li ha scritti, in molti casi divenuto polvere nel tempo. Pensiamo, intanto, a come se ne stanno disposti nelle librerie. Accostati. Ora, è vero che ci sono librerie personali ordinatissime, che rispettano i canoni della biblioteconomia. E riflettono l’indole dei loro proprietari. Metodici, razionali… sinceramente, però, mi hanno sempre fatto tristezza. Hanno il sentore di fiori appassiti nei vasi… Lo stesso profumo dei cimiteri. Ovvero di luoghi privi di vita. Cristallizzati. Le librerie vissute, e che vivono, sono sempre disordinate. In apparenza. In realtà rispondono ad un altro ordine. Che non è astrattamente logico.
Perché i libri hanno fra loro una sorta di magnetismo. Una… magia simpatica, potrei dire. Per cui, senza che tu te ne renda conto, finisci per accozzarli insieme non secondo una tua idea, un tuo volere. Ma come loro determinano e vogliono…

Ci sarà una ragione per la quale “Il segreto del bosco vecchio” di Buzzati – che cercavo disperatamente, dovendolo leggere online ai miei allievi di prima – è, misteriosamente, finito tra la traduzione dell’Avesta e la Tetralogia di Mishima… Vi sarà… ci deve essere sicuramente. Anche se mi sfugge… Forse, il mondo degli Spiriti dell’antico Iran, quello dei Kami della tradizioni del Bushido presentano delle affinità comprensibili…. Ma la fiaba dello scrittore bellunese? I geni degli alberi, il Vento Matteo e il Vento Evaristo….mah…
E poi che ci facevano i Cantos di Pound – la mia vecchia edizione dei Meridiani, tutta consunta per il lungo uso – accanto al Paperin Chisciotte che ho comprato mesi fa a mio figlio? Non ricordo di averli messi lì… Anche perché l’altro volume delle Opere Scelte poundiane lo ho ritrovato ben lontano. Tra la “Pastorale americana” di Philip Roth e I “Il Grande gioco” di Hopkirk… Strane consonanze. Strane affinità. E, sinceramente per quello che ho capito in tanti anni di Pound – poco, troppo poco… – forse il vicino che gli sarebbe più gradito è proprio la rivisitazione Disneyana di Cervantes…

Poi ci sarebbero le Opere di Borgès accanto a “La pelle” di Malaparte… E “Il porto delle nebbie” di Simenon, forse il più suggestivo romanzo con protagonista il Commissario Megret, appoggiato alle Poesie di Pessoa… Chissà, forse il Commissario della Sureté, nella notte, spiega a Bernardo Soares e Ricardo Reis l’arte dell’indagine… E loro, passando di bocca in bocca, da un eteronimo ad un altro, o da uno scaffale all’altro, riferiscono a don Isidro Parodi. Che medita nella sua eterna cella, frutto di un “gioco”, di una cena, di una scommessa fra Casares e Borgès.. ancora e sempre lui, certo, ma se si parla di libri… inevitabile…
Fantasie, lo so bene. Di una notte di Marzo. Fredda ancora. Ventosa propaggine dell’inverno che declina, ma non demorde. Una notte senza Luna, o meglio, di poca luna. Una notte in cui il sonno tarda a venire e le ore sembrano non scorrere. La Danza delle Ore. La loro fuga. Ponchielli, D’annunzio, Orazio… E la sensazione, netta anche se assurda, che vi sia più animazione, vita, slancio in una libreria che in tutto quel mondo… Là fuori…