Mentre il giornalismo italiota sta con il naso per aria per contare quanti missili russi mancano alla fine delle scorte, si perde il dato di realtà terrestre che è molto più significativo. Perché le difficoltà di Mosca esistono, ma soprattutto sul terreno. Dove operano carri armati e blindati. Secondo i dati forniti da Agcnews, infatti, l’esercito russo avrebbe perso almeno 1.600 carri armati pesanti, 3.500 veicoli corazzati pesanti e 300 sistemi di artiglieria mobile. Danneggiati, quando va bene, oppure distrutti o, peggio, catturati dagli ucraini che li hanno utilizzati contro le truppe di Mosca.
In pratica Mosca ha perso tra il 20 ed il 60% delle scorte prebelliche, a seconda del tipo di veicolo e di attrezzature. Il peggio, però, non è questo. Bensì l’incapacità dell’industria bellica russa di ripristinare le scorte. Anzi, sino a giugno alcune fabbriche strategiche per la produzione di carri armati e di veicoli da combattimento erano ferme a causa delle sanzioni che impedivano l’acquisto di parti fondamentali per i veicoli.
Un segnale evidente della scarsa preparazione in vista della guerra. E questo è un elemento su cui riflettere.
Nei mesi successivi, comunque, le stesse fabbriche hanno ripreso l’attività, moltiplicando per 4 o 5 volte i numeri delle produzioni prebelliche. Più carri, più blindati ma meno sofisticati tecnologicamente. Perché sono venuti a mancare alcuni elementi che venivano importati dall’Occidente e sono stati sostituiti da tecnologie in arrivo da Pechino e Hong Kong. Meno innovative, certo, ma il Cremlino ha preferito puntare sulla quantità piuttosto che sulla qualità. Anche perché, con le forniture atlantiste, Kiev si ritrova a disporre di più mezzi di combattimento di quanti ne abbia Mosca. Anche se la “Lacrima” del Tg5 non se n’è accorta. Come non si è accorta delle divise inadeguate dei soldati ucraini. Ed anche della carenza di uomini, che porta Kiev a puntare sempre di più sui mercenari dell’americana Mozart per contrastare i mercenari della russa Wagner.