Aung San Suu Kyi, leader del partito (Lnd) che ha vinto le recenti elezioni in Myanmar (ex Birmania), è stata nuovamente arrestata dopo che i militari hanno assunto il potere con un colpo di mano. Certo non una novità per un Paese che a lungo è stato governato da una dittatura militare mentre Aung San Suu Kyi era confinata agli arresti domiciliari, dove ha ricevuto anche il Nobel per la pace.

I militari hanno accusato Lnd di aver truccato le elezioni approfittando della pandemia. E facendo votare anche pluricentenari e deceduti vari. Forse per questo il presidente statunitense Biden ha subito ordinato ai militari birmani di rilasciare tutti gli arrestati e riconoscere la vittoria di San Suu Kyi. Per il momento, però, i militari hanno deciso di seguire l’esempio del governo degli Incapaci ed hanno proclamato un anno di stato di emergenza. E senza neppure avere il sostegno di Ricciardi o di Galli. Forse arriverà Crisanti.

In realtà la popolarità del premio Nobel aveva iniziato a ridursi negli ultimi anni. Soprattutto per la gestione dei conflitti con le tante etnie minoritarie presenti in Myanmar. Non soltanto i Rohingya, popolazione musulmana e per questo molto amata dai media occidentali a differenza degli altri gruppi etnici, ignorati nonostante la repressione.
Ora si tratterà di valutare in cosa consisteranno le reazioni degli esportatori sani di democrazia dopo le minacce di Biden, in perfetto stile dem. Perché la collocazione del Myanmar, ai confini con la Cina, rende la situazione estremamente problematica visti i rapporti con Pechino.

Da escludere un intervento Usa in stile Vietnam, considerando i precedenti. Ma eventuali sanzioni economiche renderebbero felice la Cina che aumenterebbe il suo controllo sull’area. Mentre le rivoluzioni colorate finanziate dai potentati Usa non paiono incidere particolarmente sulle coscienze dei militari birmani.