Sulle Serre. In Calabria. Immagine di un gruppo di monaci certosini che camminano nel bosco. Dicono che lo facciano una volta la settimana. Praticamente da sempre. E per tutta la vita.
È un’immagine… silenziosa. Come si addice a chi, del silenzio, ha fatto la sua regola di vita.
Ed è un’immagine fuori dal tempo. I monaci, nei lori candidi sai, potrebbero essere in qualsiasi tempo. A partire dalla fondazione dell’Ordine, nel 1086, se non erro.
E potrebbe, anche, essere qualsiasi luogo. Sparsi lungo tutta l’Europa.
Ma questi monaci sono quelli di Serra San Bruno. Nel profondo della Calabria. Dove San Bruno – che era tedesco di origine e in Italia viene per lo più chiamato Brunone – si ritirò negli ultimi anni. Alla ricerca di quella vita eremitica cui si sentiva vocato. E che mise alla base della sua regola.
In effetti, l’unica cosa che ci ricorda il tempo in cui viviamo, è questa foto. Che viene usata per un post di fb. Per il resto… sembra di essere fuori dal tempo. O meglio, di entrare in un tempo altro. Un tempo fatto di silenzi, cori cantati a cappella… Preghiere.
E lunghe, e pensose, passeggiate. Immergersi nella natura. In una natura non da cartolina ambientalista. Ma selvaggia. Incontaminata. Per perdersi e ritrovarsi. Per meditare su chi mai abbia potuto creare tanta, a volte spaventevole, bellezza.
Ho sempre provato una forte attrazione per lo stile di vita di quei monaci. Ed un libro che mi ha profondamente colpito è, non a caso, “Le acque del Sole”. Di Thomas Merton. Lo scrittore statunitense che si fece Trappista. E che tracciò, nel suo libro, la vita monastica. In modo estremamente… suggestivo.
Già… perché la vita contemplativa esercita una potente suggestione. Se, per un attimo, proviamo ad uscire dal nostro caos quotidiano. E a pensare che esiste un modo completamente… alternativo di condurre i giorni.
E non ci sarebbe bisogno di sognare Ashram nelle profondità delle jungle indiane. O monasteri buddhisti arroccati nel Tibet e sulle vette del Nepal. Basterebbe guardare alla tradizione del nostro Medioevo profondo. Ai Camaldolesi, ai Cistercensi… ai Benedettini che furono la radice di tutto il monachesimo occidentale. Ai “Mistici d’Occidente”, come li chiamò Elemire Zolla.
Che, però, tendiamo ad ignorare. Perché non sono alla moda, non rispondono alla ricerca di sensazioni “spirituali” (orrido ossimoro) della borghesia radical chic affascinata dai, facili, miti della New Age.
Nella vita di quei monaci non vi è nulla di facile. Al contrario, è austera, severa. Dura.
Eppure è uno stile che emana un profondo sentimento di pace interiore… di distacco dalle emozioni che, ordinariamente, ci travolgono e trascinano. Come onde e correnti di un mare in cui ci agitiamo. Incapaci di nuotare.
Intendiamoci bene. Mai pensato seriamente, neppure per un momento, di entrare in una Certosa, in una Camaldola o in una Trappa.
Troppo attratto da altri aspetti della vita, inconciliabili con la scelta monastica. E – lo dico per i maliziosi – non sto alludendo a sesso, droga e rock and roll…
E troppo complesso il rapporto con la parola “fede”. Troppi filosofi scettici dietro le spalle…
Eppure, quando vedo immagini come questa, o quando ascolto un coro gregoriano, non posso fare a meno di chiedermi come sarebbe stato prendere quel sentiero.
La vita, in fondo, è un giardino dei sentieri che si biforcano. Come scrive quel grande, e tormentato, scettico di J.L.Borges.