Non è ancora l’alba. E l’aria è fredda. Un freddo che punge. Secco. Piacevole, almeno per me.
Non avevo motivi di alzarmi così presto. Ma le abitudini sono radicate. E poi volevo fare una passeggiata per la mia Città. Quella che è stata la mia città per cinquant’anni di vita. Mestre. Viverla ancora una volta, dopo un’assenza di una decade.
Mestre non è mai stata una gran bella città. Non una città d’arte, sopratutto. Schiacciata dall’ombra di Venezia. Che è ombra invasiva e pervasiva. E poi è una città che ha subito come poche altre lo stupro della speculazione edilizia postbellica. Con la distruzione di parchi, ville. E di ciò che restava del vecchio castello.
Già, il Castello. Con le merlature ghibelline. Chè era rocca dei Da Romano, i terribili Ezzelini. Faceva parte della Marca. Poi arrivarono i veneziani.
Comunque, una delle torri è ancora in piedi. La vecchia torre dell’orologio, all’ingresso della piazza. Anzi, l’ hanno restaurata. E ai suoi piedi vi è un locale, che non avevo mai visto. Chiuso, naturalmente, a quest’ora.
Però avrei gran bisogno di un caffè.
Mi guardo intorno. Niente. Saracinesche abbassate.
Entro in Piazza. Quella che, per noi, è sempre stata, solo, la Piazza. Nella sua storia ha mutato nomi e volti. Piazza del Mercato, il più antico, perché era lì che, nel medioevo, si tenevano i mercati, i commerci, i traffici… Nella spianata antistante il Castello.
Molto è cambiato anche da quando ero ragazzo. Allora non era zona pedonale. E vi facevano capolinea tram e filobus. Davanti allo Sport. Il bar storico. Insieme al Caffè Giacomuzzi dall’altro lato. Lo Sport è stato l’ultimo a svanire. Pochi mesi fa. Vedo ancora l’insegna sbiadita. I locali interni con le vecchie sedie e i tavolini ammassati alla rinfusa…
Chissà, forse sono ancora le sedie, e i tavoli, dove ho trascorso tanti pomeriggi. E sere…e anche molte mattine facendo manca a scuola. Anche se, in quel caso, si preferiva il Riviera. Più defilato. Meno rischi di essere beccati.
Ricordo in particolare un’estate. Faceva un caldo d’inferno. E noi si stava lì, allo Sport. A presidiare la Piazza dicevamo. Perché in quegli anni si dava a tutto una coloritura politica. In realtà, oziosi, a fare discorsi e tessere pensieri oziosi.. Jerome K. Jerome ne avrebbe potuto trarre il seguito del suo, delizioso, “Divagazioni oziose di un ozioso”…
Comunque altri locali ci sono. Più eleganti, moderni, alla moda. Ma non un cane che, a quest’ora ti faccia un caffè.
Non è più una città operaia. Una volta i bar aprivano prima delle 5. Una marea di tute blu, che bevevano caffè, spesso corretto.. Marghera è da tempo un Deserto dei Tartari. Gli operai una specie estinta. Più facile incontrare un Panda. E la nuova classe non si alza presto. E spesso non esce. Smarthworking e panico pandemico hanno fatto il resto…
Inutile. Torno indietro. Via Palazzo deserta. Neppure qui un caffè. Via Palazzo. Perché vi si affaccia il vecchio Municipio. E l’antica Provveditoria. Oggi divenuta ufficio dell’anagrafe.
Sono praticamente solo. Il suono dei miei passi risuona sul lastricato con una vuota eco.
Imbocco il Viale. La grande libreria, la Fiera, non esiste più. Vi ho trascorso ore a frugare fra i volumi accatastati in disordine. E sbirciando le grazie della padrona dalla chioma rossa leonina, e della commessa biondo platino…
Sulla destra la vecchia scuola Ticozzi. Scuola d’arte in origine. Poi scuola media. Mia madre vi insegnò per anni. Quando ancora le professoresse dovevano indossare un lungo camice nero. Per non attirare attenzioni morbose dagli allievi. Dicevano i vecchi presidi. Austeri e con cravatta.
Vi ho fatto anch’io le mie prime supplenze. Ed ero ancora uno studente universitario. Come allora usava.
Vi erano le stufe a legna nelle aule. E un allievo era incaricato di alimentarle. Un ruolo molto ambito… Oggi è restaurata, vedo… Almeno dalla facciata.
Cammino infagottato e pesante. L’aurora comincia ad affacciarsi in una notte ancora gelida.
Mi guardo intorno. La Farmacia… Prima la vecchia Erboristeria dove trascorrevo le ore a discutere di filosofia ed esoterismo con Marco, l’amico di tutta la vita, e con Salvatore, il proprietario, pittore ed Erborista, antroposifo e principe napoletano… vi è ancora…. chissà chi le gestisce però…
Per il resto tante insegne che ben poco mi dicono. E soprattutto tanti negozi chiusi. Definitivamente. Non vi è più il grande alimentarista. Quattro vetrine sbarrate. Non il fruttivendolo. Non il macellaio. Non….
Ma io voglio un caffè.
E continuo a camminare. Un passo dopo l’altro. Lenti. Sempre più pesanti. Risuonano.
E, strano a dirsi, è come se ogni passo risuonasse non una, ma più volte. Come se stessi camminando sulle mie stesse orme. Passo dopo passo, per percorsi già calcati migliaia di volte…
Un bar aperto finalmente… Dovevo pensarci subito.. Il “M…bar ” era sempre aperto di fronte alla fermata del bus. Vi prendevo il caffè tutte le mattine prima di andare al lavoro…
Entro.
Tutto uguale. Le sedie, il bancone i vecchi quadri alle pareti… Non è cambiato nulla. Come se avessi varcato una soglia e viaggiato a ritroso. Per oltre dieci anni.
“Un caffè doppio, per favore”
La donna dietro il bancone è vestita e pettinata esattamente come la ricordavo. Deve essere davvero un viaggio nel tempo. O un sogno.
Si gira
“Xe un bel po’ che no se vedemo…”
E mi sorride.