Nei giorni scorsi qualcuno si è preso la briga di andare a controllare che fine avesse fatto la promessa di Matteo Salvini fatta circa un anno fa in campagna elettorale relativa al rimpatrio dei clandestini.
Se è pur vero che da quando il leader della Lega siede al Viminale il numero di sbarchi attraverso la rotta del Mediterraneo è drasticamente diminuito, è altrettanto vero che il numero dei rimpatri è rimasto sostanzialmente invariato rispetto ai governi precedenti.
Nei primi sei mesi dell‘attuale esecutivo (giugno-dicembre 2019) gli irregolari rimpatriati sono stati 3.851. Nello stesso periodo di tempo, l’anno prima, l’allora ministro dell’ Interno Marco Minniti aveva eseguito 3.968 rimpatri, un centinaio in più. Dal primo gennaio 2019 al 17 febbraio sono stati 867, 18 al giorno.
Complessivamente nel 2018 – con il governo Gentiloni per la prima metà dell’ anno e della Lega-M5S per la seconda – ci sono state 6.820 espulsioni, sempre 18 al giorno. Nel 2017 sotto Gentiloni 6.514, ovvero 17 al giorno.
In altre parole: tra il dire e il fare c’è di mezzo la realtà e la burocrazia.
Secondo i dati disponibili forniti da Eurostat, in Italia ci sono 530mila irregolari, nei confronti dei quali, dal 2015 al 2017, sono stati emessi poco meno di 96mila fogli di via, mentre i rimpatri effettivi sono stati 16.899, meno del 18%.
Ciò dipende dal fatto che, in base alla normativa vigente, il provvedimento di espulsione può essere emesso: 1) per motivi di sicurezza dello Stato su decreto del ministero degli Interni per fiancheggiatori o sostenitori del terrorismo; 2) su indicazione delle Questure per stranieri non in regola con i documenti e/o con un profilo di pericolosità sociale; 3) come pena alternativa alla detenzione per condanne inferiori ai 2 anni.
Ma – come ricorda Milena Gabanelli sul Corriere della Sera – “per rimpatriare un immigrato è indispensabile che il Paese d’origine lo riconosca come suo cittadino: se l’ ambasciata del Paese in questione non emette il documento di viaggio per il rientro, non possiamo rimpatriare nessuno perché poi non è permesso lo sbarco. Dunque, servono accordi con gli Stati che devono riprendersi gli irregolari, e per riuscire a sottoscriverli bisogna dare in cambio qualcosa. In più è sempre necessaria la collaborazione politica tra i due Paesi, senza la quale non si va lontano”.
Nello scorso mese di ottobre Salvini, relativamente allo stanziamento di 12 milioni di euro messi a disposizione dal Viminale per il rimpatrio volontario assistito per i cittadini stranieri presenti in maniera irregolare sul territorio italiano, aveva dichiarato all’ANSA:
“Rimpatriare gli immigrati su base volontaria, è più rapido e meno costoso. Il mio impegno prioritario resta quello di stringere accordi con i Paesi d’origine per incentivare i rimpatri coattivi“.
E aggiungeva:
“Dopo anni di governo Pd, rispedire i clandestini nel Paese d’origine è quasi impossibile. Ma, dopo aver praticamente azzerato gli sbarchi, stiamo lavorando anche su questo e sono fiducioso”.
Evidentemente, però, in cinque mesi, la situazione non è cambiata di molto.
Attualmente l’Italia ha firmato accordi di rimpatrio con un ristretto numero di paesi africani, vale a dire Marocco, Tunisia, Egitto e Nigeria. Ma le cose non vanno come dovrebbero. Tanto è vero che i rimpatri dall’Italia alla Nigeria effettuati dal 2015 ad oggi sono poco più di 700. Il problema nasce con gli altri paesi con i quali non ci sono accordi in tal senso, che si calcola siano circa una quarantina, compresi quelli non africani.
Ma le difficoltà non finiscono qui.
Come ricorda ancora la Gabanelli “c’è il nodo dell’ identificazione. La maggior parte degli stranieri devono transitare dai Centri per il rimpatrio, nei quali si verifica identità, nazionalità e disponibilità dei viaggi aerei (sic!). Doveva essere aperta una struttura in ogni regione, ma a dicembre erano attivi i centri di Torino, Roma, Bari, Brindisi, Potenza, Caltanissetta e Trapani, con un totale di 715 posti. L’intenzione è di arrivare entro l’ estate a 1.600, con aperture a Milano, Modena, Gradisca e Macomer. Per quel che riguarda i costi variano dai 3 ai 5.000 euro per ogni rimpatrio. Per mantenere i livelli attuali servono dai 20 ai 34 milioni di euro. Per il 2019 Salvini ha stanziato 1,5 milioni di euro in più, ovvero la copertura per ulteriori 500 rimpatri”.