Poco carismatico, spento, divisivo. Ma Kemal Kilicdaroglu, il leader dell’opposizione turca contro Erdogan, è indicato in vantaggio da tutti i sondaggi in vista delle elezioni di maggio. E le ultime iniziative di Erdogan sembrano, non a caso, rivolte a tranquillizzare gli Stati Uniti che sono i grandi sostenitori del rivale. Perché le ingerenze di altri governi nelle elezioni di un Paese sovrano sono considerate ignobili ed intollerabili. Ma se sono gli Usa ad interferire, allora è un sacrosanto intervento a favore della democrazia.
Così, improvvisamente, la Turchia ha iniziato a ridurre gli scambi commerciali con la Russia, che avevano raggiunto livelli record. Poi ha cominciato a valutare il permesso di passaggio negli Stretti delle navi militari nordamericane. Ed è pronta a togliere il veto all’ingresso della Finlandia nella Nato. Tutte misure per compiacere Washington, sperando che il sostegno di Biden a Kilicdaroglu non provochi l’uscita dalla scena politica dell’attuale sultano che ha provato a trasformare la Turchia in un Paese non solo libero dalle ingerenze d’Oltreoceano ma anche protagonista sulla scena mondiale.
A Washington, però, amano solo i comprimari. Purché obbedienti ed ossequienti. Erdogan non lo è stato. La Turchia neppure. Quindi occorre punirla e cambiare la guida. Magari anche minacciando la distruzione del Turkish Stream, il gasdotto che – strana coincidenza – passa proprio dove i russi hanno attaccato il drone statunitense.
Se il mondo non può essere unipolare, con l’impero yankee ad imporre i suoi comodi, potrà essere solo bipolare: Usa e Cina. Nessuno spazio per le velleità multipolari. Dunque occorre ridimensionare la Turchia, riportare Ankara ad un ruolo da cagnolino di compagnia. Per poi passare a minacciare l’India affinché rinunci alle illusioni di guidare i Paesi Non Allineati. Non ci possono essere Non Allineati. O maggiordomi di Biden (applausi!) o criminali alleati di Pechino. E bisogna fare in fretta perché gli yankee sono terrorizzati per la pacificazione tra Iran ed Arabia Saudita.
In Turchia si procederà con il voto ed il sostegno garantito da Washington. Altrove si tornerà alla solita strategia della corruzione e, se non dovesse bastare, si provvederà con i consueti colpi di stato. Inutile inseguire Pechino sulla strategia di enormi investimenti sulle attività dei Paesi da attrarre nella propria orbita. Costano troppo ed i burattinai della Casa Bianca sono restii ad investire. Preferiscono incassare senza troppi sforzi..